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Abodi: «Presto un decreto legge sulle politiche giovanili»

Il ministro per lo Sport e i giovani ha partecipato a un incontro online con i rappresentanti del Comitato editoriale di VITA. Un'ora di intenso e proficuo confronto con chi opera nel mondo dello sport e del disagio giovanile, che è servita anche a fare il punto sul futuro del servizio civile universale

di Luigi Alfonso

Il Governo Meloni, su proposta del ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, presenterà a breve un Decreto legge dedicato alle politiche giovanili. Lo ha annunciato lo stesso Abodi ai rappresentanti del Comitato editoriale di VITA, durante l’incontro che si è tenuto nel pomeriggio di oggi, giovedì 23 marzo (il secondo con un rappresentante del Governo Meloni, dopo quello che si è svolto lo scorso 18 gennaio con Maria Teresa Bellucci, viceministro delle Politiche sociali e Terzo settore).

Alcuni dati su cui riflettere

Nel corso dell’incontro, durato un’ora e coordinato dal direttore di Vita, Stefano Arduini, Abodi ha dialogato con i rappresentanti delle 79 organizzazioni del Comitato editoriale sui vari aspetti dei temi all’ordine del giorno: politiche giovanili e Servizio civile universale. Arduini ha introdotto i lavori ricordando alcuni dati su cui riflettere: l’Italia è il Paese europeo con il secondo maggior numero di Neet (oltre tre milioni); aumentano gli accessi ai Pronto soccorso, con un +84% di malattie neuropsichiatriche rispetto al periodo pre-pandemico; contemporaneamente, aumentano i casi di depressione (+115%) e i disturbi della condotta alimentare (+78,4%); solo il 32% dei 15enni rivela uno stato di benessere psicologico, contro il 50% degli under 11; in Italia, l’8-10% delle ragazze e lo 0,5-1% dei ragazzi soffrono di anoressia o bulimia (incidenza aumentata del 30%); nel 2021, l’uso degli psicofarmaci non prescritti ha superato la soglia del 6% tra i ragazzi in età compresa tra i 15 e i 19 anni; nel nostro Paese, diminuiscono i reati in generale ma aumentano quelli compiuti dai minori (+14%). E ancora: alle ultime elezioni politiche, il 40% degli under 34 non è andato alle urne.

«L’aumento dei suicidi adolescenziali negli ultimi dieci anni si è moltiplicato in maniera angosciante», ha commentato il ministro. «Non è solo disagio, e va ben oltre il dato dei tre milioni di Neet. Ci accorgiamo del tema giovani quando si diventa vecchi. Le soluzioni e le ipotesi di contenimento dei dati patologici passano per l’interdisciplinarietà. Questo vale anche per altri temi, come lo sport. E su questo fronte intendiamo muoverci. I numeri ci inchiodano rispetto alla dimensione dei fenomeni, e ne siamo bombardati da sempre. Presto sarà formalizzato un tavolo interministeriale sui giovani, per i quali stiamo lavorando a un Decreto legge specifico. Non vogliamo ripetere gli errori del passato, per esempio nell’impostazione non soltanto delle varie Finanziarie e delle varie misure adottate nel tempo, ma anche del Pnrr come strumento che non ha fatto emergere un provvedimento verticale dedicato ai giovani».

Il Servizio civile universale

Andrea Abodi non si è fatto cogliere impreparato. Conosce a fondo la materia. «Noi abbiamo avuto un elemento che si è manifestato in maniera chiara, vale a dire quello del Servizio civile universale che ci ha consentito di fare questo bando da 71.550 posizioni. Le risorse però adesso scadono, quindi abbiamo l’esigenza di rinnovare l’impegno finanziario e di verificare che anche l’Europa possa continuare sotto altre forme a sostenerlo. A queste 71.550 posizioni si devono sommare le 5.000 del Servizio civile digitale e le circa 1.500 del Servizio civile ambientale, che però dev’essere ancora lanciato. Quindi, teoricamente, potremmo arrivare a oltre 83mila posizioni. Bisogna però ragionare sul dato che è emerso, cioè dei 105mila che negli ultimi anni si sono ridotti progressivamente di oltre 20mila unità. È un indicatore ulteriore di malessere che non va sottovalutato, che non è fisiologico e non è soltanto il frutto della manifestazione di un processo di denatalità. Ma se la Francia conta 140mila giovani impegnati su questo fronte è anche perché ne parla continuamente nelle scuole».

Gli interventi del Governo

Da uomo di sport, Abodi è entrato subito nella concretezza dei fatti. «Stiamo pensando a politiche attive che consentano di aprire dei corridoi di fiducia e speranza. Il disagio giovanile può essere superato solo con il benessere dei giovani. Vogliamo intervenire sulle questioni classiche, come la scuola, la formazione, l’avviamento al lavoro, l’accesso al credito relativo all’imprenditorialità, alla costruzione di una famiglia o alla visione di una casa che è anche vocazione della genitorialità: quest’ultima ha bisogno di presupposti concreti, altrimenti si fa pura teoria. Non possiamo semplicemente valutare la denatalità senza entrare nel merito delle ragioni che portano una coppia a fare dei figli. Avere dei figli è una cosa meravigliosa che consacra la vita, al di là del fatto che si decida di non averne per altre scelte. Ma bisogna avere anche una certa stabilità economica».

Sport e scuola

«Ne ho già parlato con il ministro Valditara (Istruzione e merito, ndr). Sono convinto che tutti noi ricordiamo l’esperienza passata dei Giochi della gioventù. Ecco perché abbiamo voluto reintrodurli. Ma non basta. Non voglio parlare di quanto sia importante lo sport, lo fanno in centinaia di convegni e siamo tutti d’accordo. Mi limito a dire che lo sport è una delle difese immunitarie sociali. E le difese immunitarie, in generale, si rafforzano e non si indeboliscono. Quindi, su questo presupposto, c’è quasi una linea di indirizzo programmatico e politico che deve trovare soltanto conferma. Lo sport oggi celebra un’altra giornata importante: in commissione Affari costituzionali della Camera è stato approvato, anche in questo caso all’unanimità, il provvedimento di legge costituzionale che va in aula per la seconda lettura, con il voto appunto unanime dei parlamentari e, cosa abbastanza rara, con due relatori perché ho creato i presupposti affinché su questo tema non ci fossero maggioranza e opposizione ma un’unità d’intenti, per sostanziare l’idea comune che abbiamo dell’utilità dello sport dal basso. Delle medaglie siamo orgogliosi, e in Italia siamo fortissimi, ma c’è una distanza siderale tra le medaglie e le magagne. I limiti del sistema sportivo partono dalla scuola, occorre un salto di qualità: abbiamo due scuole su quattro che non hanno la palestra, e appena un’ora di educazione fisica alla settimana. Ci accompagneranno due agende: quella della interdisciplinarità di contenuti (e quindi l’educazione civica, l’educazione alimentare, l’educazione ambientale, l’educazione alla salute, l’educazione allo stare insieme, l’educazione anche alle varie opportunità e alla disabilità) e quella delle infrastrutture. Dobbiamo pensare a un’agenda di contenuti, con la dovuta formazione dei formatori, il percorso di avviamento allo sport, lo screening sanitario, il rapporto tra la scuola e il territorio e viceversa. È un percorso lunghissimo, quattro anni e mezzo non saranno sufficienti perché interveniamo in una situazione di grande complessità, ma vogliamo iniziare da qui. Dobbiamo avere la capacità di mutuare le migliori esperienze europee. Faccio un esempio che ho visto quando mi sono recato di recente a Parigi. Ho visitato una scuola italiana e una scuola internazionale di lingua italiana: nella prima si faceva e si fa un’ora di educazione fisica alla settimana, nella seconda realtà si dedica un’intera giornata allo sport ogni sette giorni. C’è una enorme differenza, e dobbiamo avere il coraggio di dircelo».

Il contratto di lavoro nelle associazioni sportive

«Nel mio programma di governo ho presentato alcune linee guida, tra cui una sul tema del lavoro in ambito sportivo. Non è facile trovare un equilibrio tra la dignità del lavoro e la sopravvivenza dell’impresa sportiva, diciamo la verità. Quindi, quello che stiamo facendo anche attraverso la formulazione di un correttivo dà un senso al differimento dell’entrata in vigore della norma, che non è soltanto un modo per buttare avanti il pallone, come si suole dire, bensì di conquistare tempo per migliorare la norma e tenere conto delle esigenze delle parti in campo. È indifferibile l’esigenza di regolamentare questo settore, dove c’è un grande sommerso. Dobbiamo trovare una forma che nel tempo potrebbe diventare anche un contratto collettivo, con una delicatezza da non sottovalutare: cioè, regolamentare il lavoro senza modificare geneticamente il volontariato. Per la prima volta nella storia, ho voluto fare un incontro con le parti sociali: ho messo attorno a un tavolo tutti i sindacati, il Coni, il Cip (Comitato italiano paralimpico, ndr) più Sport e Salute. Sono rimasto sorpreso perché una cosa del genere non era mai successa. Sembra che il mondo ci sia soltanto da ieri. Ma non possiamo fare una riforma senza il confronto con le parti sociali. Dobbiamo trovare le risorse perché in passato sono stati definanziati gli ammortizzatori sociali. Se lo sport entra nella Costituzione, non è soltanto per riconoscerlo (sperando che questo riconoscimento diventi un diritto di fatto) ma anche per assumerci dei doveri e pensare ai diritti e alle connessioni tra lo sport e l’istruzione e tra lo sport e la salute».

L'accesso al credito sportivo

«Siamo un ministero senza portafoglio, ma cercheremo di far valere il portafoglio delle idee. Penso alle attività degli enti di promozione sportiva e alla loro missione rispetto alle politiche di governo: non perché vogliamo introdurre la politica in quell’ambito, non penso che sia sano, bensì perché sono più collegati alle risorse pubbliche che mettiamo a disposizione per le attività sociali. Un altro pensiero che desidero fare riguarda la banca, che è uno strumento formidabile, unico nel suo genere. Riguarda il mio più recente percorso di vita lavorativa, che mi ha permesso di completare l’esperienza maturata in ambito sportivo. Ma l’Istituto per il credito sportivo è una banca sociale, dunque non dipende dalla politica bensì dalla Banca d’Italia. Le politiche sociali si fanno soprattutto al di là della criticità dell’accesso al credito. Se riusciremo a intervenire con contributi a fondo perduto, potremo utilizzare una leva propulsiva. Penso anche ai contributi in conto interessi e garanzie, che non è la licenza ad erogare in maniera indiscriminata perché comunque non si può fare. Dobbiamo trovare tutti gli strumenti che consentano di abbattere il costo del denaro. Ho voluto a tutti i costi misurare il Pil dello sport per avere tutti gli elementi che, tra un mese, ci consentano di tirare le somme. L’impatto sociale vale per lo sport come per il Servizio civile universale: quest’ultimo è più difficile da misurare, ma dobbiamo provarci».

Inclusione e coesione

«Si parla sempre di inclusione e poco di coesione», ha detto ancora Abodi. «Ma non c’è inclusione sana senza la capacità di tenere insieme il tessuto sociale. Ecco perché il dialogo sistemico tra le reti è fondamentale, così come la coprogettazione e la coprogrammazione. Incontri come quello di oggi sono per me uno strumento metodologico di lavoro e un’opportunità. Confido nella collaborazione e nelle proposte del mondo del Terzo settore, sia quello sportivo che quello meramente sociale. Farò di tutto perché il Registro unico nazionale del Terzo settore non abbia inutili duplicazioni. Vogliamo rendere i servizi più accessibili a tutti, credo che la carta d’identità elettronica sia uno strumento utilissimo: è una libreria vuota che possiamo riempire di un sacco di contenuti, compresi quelli della Carta Giovani, uno strumento che stiamo usando poco ma che possiamo migliorare tantissimo. Vorrei creare poi un database per arrivare alla creazione della comunità di chi ha servito la nazione attraverso il Servizio civile: non è pensabile che si disperdano i dati di coloro che terminano l’anno di Servizio. Di quella gente non sappiamo più niente, che cosa hanno fatto e che cosa fanno oggi. Bisogna poi ripensare ad alcuni paletti, come l’esclusione per chi non è riuscito a entrare o chi ha già fatto il Servizio civile. Il compenso? Non credo che i giovani facciano per questo motivo un’esperienza del genere. Ma trovo quanto meno discutibile che loro percepiscano 400 euro per lavorare e altre persone 700-800 euro per non fare niente. Ragioneremo anche su questo, in modo che non ci siano più discrepanze o contraddizioni. Occorrono poi le certificazioni, magari con l'aiuto delle istituzioni universitarie dei singoli territori, per dare premialità a chi partecipa a un concorso pubblico dopo aver svolto il Servizio civile».


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