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Paola Concia: sui diritti Lgbt+ non possiamo tirare il Papa per la giacchetta

«Bergoglio è un uomo che ha saputo leggere il cambiamento dei tempo. E fra le cose che mi piacciono io metto anche l’ultimo appello a difesa degli omossessuali». L'intervista all'attivista per i diritti Lgbt+ pubblicata sul numero di VITA magazine di marzo dedicato ai dieci anni di papato di Francesco

di Giampaolo Cerri

«Il rapporto con i Papi del movimento omosessuale è sempre stato molto faticoso». La voce di Anna Paola Concia arriva al telefono dalla sua casa di Firenze, dove lavora a Didacta la grande fiera dell’innovazione scolastica. Classe 1963, abruzzese del Fucino, già parlamentare dem, dopo una lunga militanza iniziata dal Pci, Concia è sposata con Ricarda da cui vola, nei fine settimana, a Francoforte. È uno dei volti storici dei diritti Lgbt in Italia, provenendo, come ha spesso raccontato, da una famiglia cattolica: «I miei, Enzo e Maria Luisa, erano due dirigenti dell’Azione cattolica. Mio padre era il formatore di Gianni Letta, per dire», ricorda, «e hanno avuto quattro figli politicamente distanti: chi nel Pdup, chi nel Partito radicale: quella più a destra, un po’ piccolo-borghese, ero io, che stavo nel Pci. Ma ci hanno insegnato l’impegno civile».

Con quali pontefici avete fatto più fatica?
Quello che io mi ricordo più faticoso Giovanni Paolo II, che era un gran conservatore, ma quello con cui il rapporto è stato molto conflittuale e duro è stato Joseph Ratzinger.

Benedetto XVI era stato, d’altronde, anche prefetto della Congregazione per la fede. E Bergoglio?
Francesco è un uomo che ha saputo leggere il cambiamento dei tempi. Un gesuita e all’interno della Chiesa cattolica i gesuiti sono stati sempre più aperti, “tolleranti” direbbero alcuni, anche se a me la parola non piace. Bergoglio è stato in linea cioè con la sua cultura. La Chiesa continua ad avere al suo interno un problema di conflittualità, che ora esploderà. Ma questa è un’altra storia.

Che cosa l’ha colpita in questo decennio di pontificato, in rapporto appunto alla condizione omosessuale?
Beh quel «Chi sono io per giudicare?», su quel volo per Rio de Janeiro, mi pare nel 2013. In me produsse un effetto distensivo. Ma intendiamoci…

Facciamolo..
Io non penso che la Chiesa debba o possa avere un atteggiamento favorevole ai matrimoni gay.

Non le farebbe piacere?
Certo che sì, ci sono molti omosessuali cattolici e cristiani che soffrono. Io non sono credente, sono a-religiosa ma sono rispettosa. Certo, sarebbe straordinario, per la potenza simbolica che ha la Chiesa ma non credo che avverrà mai.

E dunque?
E dunque voglio che la Chiesa sia contro l’omofobia, contro la discriminazione. Non pretendo che il Papa dica «siamo per i matrimoni egualitari». C’è l’articolo 7 dei Patti lateranensi, che distingue Stato e Chiesa, sempre e su qualsiasi tema. E lo Stato deve fare quello che crede. Matteo Renzi, quando approvò la legge sugli Unione civili, rispose ad alcune critiche, provenienti dai cattolici, proprio nel modo appropriato.

Ce lo ricordi…
Disse: «Non ho giurato sul Vangelo ma sulla Costituzione». Un’affermazione forte, da parte di un cattolico. E in quella frase c’era tutto.

Dunque lei si smarca da quanti pretenderebbero da Papa Francesco un’apertura maggiore?
Sono “lateranense”, se mi passa il concetto, nel bene e nel male: non possiamo tirare il Papa per la giacchetta, anzi per la veste, per quello che ci piace — penso alla povertà — e poi criticarlo per cose che non ci piacciono. E fra le cose che mi piacciono io metto anche l’ultimo appello a difesa degli omossessuali, puniti per legge in certi Stati. Come ha detto nell’intervista del mese scorso all’Associated Press.


Foto: pexels


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