Cooperazione & Relazioni internazionali

Madina e Elnaz: «A noi donne afghane hanno strappato tutto»

Madina Hassani e Elnaz Mahandes sono due giovani donne afghane scappate dal Paese nell’agosto del 2021 dopo la prese di Kabul da parte dei talebani. Oggi sono rifugiate e attiviste in Italia. «I talebani vogliono far tacere le donne, siamo la generazione che è "solo viva", ci è stato strappato tutto», hanno raccontato oggi durante l’incontro di restituzione del progetto #Avvenireperdonneafghane. «Ci vogliono invisibili e sole. Ma noi dobbiamo far sentire la nostra voce». Una voce che passa, prima di tutto, dall’istruzione

di Anna Spena

Madina Hassani indossa un maglione rosa-fucsia, ha gli occhi truccati e porta più di un orecchino sui lobi di entrambi gli orecchi. Madina Hassani ha 27 anni e dall’agosto del 2021 non torna a casa sua, l’Afghanistan. Può scegliere liberamente cosa indossare solo perché oggi è rifugiata nel nostro Paese ed è un’attivista per i diritti delle donne afghane. Lavora con l’associazione Nove Onlus, ha iniziato con loro diversi anni fa, a Kabul, dopo la laurea in scienze sociali. E grazie all’organizzazione se dopo la presa della capitale da parte dei talebani è riuscita a scappare, ma solo dopo averci provato tre volte.

Ha raccontato la sua storia questa mattina, durante l’incontro di restituzione del progetto #Avvenireperdonneafghane, un’attività di sensibilizzazione del quotidiano Avvenire, che ha coinvolto tutte le giornaliste e collaboratrici del giornale. Sono stati pubblicati oltre 40 articoli: lettere dall’Afghanistan, interviste ad attiviste esuli all’estero, testimonianze di rifugiate in Italia e riflessioni di grandi scrittrici italiane: Maria Pia Veladiano, Ritanna Armeni, Tiziana Ferrario e Marina Terragni. Quasi 200mila le visualizzazioni di pagine sul sito e oltre 300mila utenti raggiunti sui social. Un grande lavoro di documentazione e sensibilizzazione per testimoniare la situazione di un popolo vittima delle stringenti restrizioni imposte dai talebani nell’Emirato islamico. Il progetto benefico, lanciato in collaborazione con Caritas, finanzierà nei prossimi mesi un’iniziativa di sostegno all’istruzione, questa mattina è avvenuta la consegna simbolica dell’assegno al Direttore di Caritas Don Marco Pagniello.

«Casa mia mi manca», racconta Madina, «certamente che mi manca. Il Paese, i miei familiari. Ho passato 26 anni della mia vita in Afghanistan, e sono sicura che tornerò, forse quando le donne avranno un po’ di potere». Potere. «Le donne afghane stanno subendo e hanno subito un deterioramento continuo dei loro diritti», spiega. «Ora sono invisibili, sole e nel silenzio. Perciò dobbiamo continuare a far sentire la loro voce. Però non è solo importante che i media raccontino gli abusi dei talebani, è importante che i media raccontino anche la forza delle donne, che ancora oggi scendono in piazza a manifestare contro il regime. Siamo la generazione che è “solo viva”. Ma alle donne afghane hanno strappato tutto: la possibilità di lavorare, uscire, studiare». Madina fa un esempio preciso: «Quando c’era il Covid eravamo costretti a stare forzatamente a casa. Ma quella forzatura aveva un tempo limitato, non era “per sempre”. Le donne afghane è come se vivessero in un confinamento perenne».

Anche prima del 15 agosto 2021, prima dell'arrivo dei talebani a Kabul, nelle province più remote del Paese la condizione in cui vivevano le donne era drammatica. Poi il ritiro delle truppe americane e l'insediazione del nuovo governo hanno squarciato il velo di Maya e l'Occidente non ha più potuto far finta di non vedere.

Quanto sia drammatica la situazione in Afghanistan, quanto sia complessa, invivibile per le donne, lo racconta anche Elnaz Mahandes, 28 anni, pure lei rifugiata e attivista in Italia, che a Kabul lavorava in università dopo un master scienze politiche in India. «L’Afghanistan ha fatto passi indietro in tutti i settori: è il Paese più isolato del mondo, nessun Governo riconosce il regime talebano. Le donne non possono fare niente: né lavorare, né partecipare alla vita politica, né salire su un taxi, né proseguire con l’istruzione dopo i 12 anni, non possono spostarsi oltre una certa distanza senza un parente maschio o prendere un mezzo pubblico».

Dal punto di vista economico la situazione è incredibilmente complessa: 28,3 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Tre quarti della popolazione è alla fame, gli aiuti internazionali dopo l’arrivo dei talebani sono stati bloccati, come bloccati sono i beni dei talebani all’estero. L’Afghanistan resiste solo grazie al supporto delle ong, ma dopo il divieto, imposto dai talebani lo scorso dicembre, di impiegare le donne nelle organizzazioni, la situazione è precipitata. Alcune ong hanno sospeso le attività, altre senza il personale femminile non hanno le risorse per mandare avanti i progetti. Ma dopo 40 anni di guerra l'Afghanistan è un Paese di vedove ed erano loro che sostenevano economicamente la famiglia. «Ma le donne continuano nonostante tutto», aggiunge Elnaz, «e questa cosa ci dà speranza».

#Avvenireperdonneafghane è diventato anche una miniserie podcast in cinque puntate, dove viene data voce a lettere di donne rimaste in Afghanistan che continuano a lottare per non essere cancellate dalla storia. In autunno il progetto diventerà anche un libro.


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