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Aids e lo stigma: sei malato perché hai sbagliato

Nel 2021 in Italia ci sono state 1770 nuove diagnosi di infezione, cinque al giorno. «Io sono una persona con Hiv», racconta Giusi Giupponi, presidente Nazionale Lila - lega italiana per la lotta contro l’Aids. «Vivo con l’infezione da 24 anni. Apprezzo molto che Elena Di Cioccio abbia condiviso la sua storia e raccontato della sua sieropositività, è stato un gesto importante. Ricordo comunque che dire o non dire di avere l’infezione è una scelta personale e indiscutibile. Quello che invece dobbiamo spiegare è che la scienza oggi ha fatto passi enormi e chi ha l’Hiv o l’Aids, e segue una terapia, non può infettare nessuno e condurre una vita assolutamente normale»

di Anna Spena

L’attrice Elena Di Cioccio durante la trasmissione televisiva Le Iene ha raccontato: «Ciao sono Elena Di Cioccio, ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva. Ho l’Hiv, sono una di quelli con l’alone viola. Ero molto giovane quando questa diagnosi stravolse completamente la mia vita. All’inizio ho avuto paura di morire, poi di poter fare del male al prossimo. E se contagi qualcuno? – mi dicevo – Non me lo perdonerei mai. Non è mai successo, non ho mai contagiato nessuno e non sono morta. Invece in questi 21 anni, mentre le terapie mi consentivano via via di vivere una vita sempre più normale, ad uccidermi è stata una smisurata vergogna di me stessa. Ho vissuto la malattia come se fosse una colpa. Pensavo che tra me e l’altro, la persona peggiore fossi sempre io. Mi sentivo sporca, difettosa. Avevo timore di essere derisa, insultata, squalificata dal pregiudizio che ancora esiste nei confronti di noi sieropositivi”.

Nel 2021 in Italia ci sono state 1770 nuove diagnosi di infezione, cinque al giorno. Di queste più del 50% era in una fase di Aids, ovvero le persone avevano già sviluppato la malattia, ciò significa che la diagnosi era arrivata tardi. E si stima che per ogni caso diagnosticato siano tre quelli che rimangono sotto traccia. Siamo bel lontani dalle ipotesi dell’Oms secondo cui entro il 2030 la malattia doveva essere debellata e la testimonianza di Elena Di Cioccio riporta l’attenzione sull’Aids: una “epidemia dimenticata” dai governi ma dove negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha fatto passi enormi. «Io sono una persona con Hiv», racconta Giusi Giupponi, presidente Nazionale Lila – lega italiana per la lotta contro l’Aids. «Vivo con l’infezione da 24 anni e sono una persona “visibile” dal 2009. Apprezzo molto quello che ha fatto Elena Di Cioccio, che in passato è stata anche nostra testimonial. Ricordo comunque che dire o non dire di avere l’infezione sia una scelta personale e indiscutibile. C'è anche una legge che tutela i malati, la 135 del 1990: se non vogliamo, non siamo tenuti a dichiarare a nessuno il nostro stato sierologico».

L’85% delle infezioni si contrae attraverso rapporti sessuali. «Negli anni passati», spiega Giupponi, «chi aveva l'hiv era obbligato ad usare i profilattici e prendeva diversi farmaci – io sono arrivata a 21 al giorno – con diversi effetti collaterali. Oggi invece assumo una sola compressa e per chi si cura la carica virale viene sopressa, ciò significa che una persona con Hiv o con Aids non può infettare nessuno. Per questo è fondamentale avere la diagnosi il prima possibile».

Mentre la scienza ha fatto passi da gigante lo stigma sociale rimane: «C’è un retaggio culturale che sembra non voler passare», spiega la presidente di Lila. «Come se ci fosse un giudizio costante. Hai l’infezione quindi hai sbagliato a fare qualcosa, quasi a voler dire “te la sei cercata”. “Fai uno di sostanze”, “sei omosessuale”, “sei una prostituta”. Certo la dichiarazione di un personaggio famoso aiuta, soprattutto le persone che l’hanno vissuta come lei, sentendosi “sbagliate”, quando non lo sono. C’è un fiume che ti travolge quando ricevi la diagnosi. Non riesci più a vedere il futuro. Ma oggi si può fare tutto, avere una vita normale, diventare genitori».

Con i baci non si trasmette l’Hiv, non si trasmette con le punture di zanzara, non si trasmette nelle vita quotidiana insieme o bevendo dallo stesso bicchiere. «Non si trasmette», dice Giupponi, «neanche attraverso i rapporti sessuali non protetti se chi ha l’infezione è in cura e quindi ha la carica virale sopressa».

Sul fronte della prevenzione oggi le associazioni, tra cui Lila, hanno lanciato la petizione “PrEP gratuita subito e per tutt@”. «La decisione di Aifa di rinviare il via libera alla gratuità della PrEP, l’efficacissima Profilassi pre-Esposizione che previene l’Hiv, proprio nell’ultimo passaggio autorizzativo, è grave e inaccettabile per un Paese come il nostro, che ha sottoscritto in ambito Onu l’impegno a sconfiggere l’Aids entro il 2030», si legge nella petizione. «Questo stop, dopo altri nulla di fatto da parte di Aifa e del Ministero della Salute, conferma come l’Italia sia uno dei Paesi occidentali più arretrati e oscurantisti sul fronte della prevenzione dell’Hiv e uno dei pochi a welfare avanzato a non erogare gratuitamente questo farmaco».

«Approvata fin dal 2012 della Fda (Food and Drug Administration Statunitense) e nel 2016 dall’Ema, Agenzia europea del farmaco», continua la nota,l«a PrEP consiste nell’assunzione di compresse, prima e dopo l’esposizione al rischio di contrarre l’Hiv (rapporti sessuali senza preservativo, utilizzo in comune di siringhe). Se assunta correttamente, la profilassi offre una protezione dall’infezione che sfiora il 100%. Lo certificano tutte le agenzie sanitarie internazionali (Onu, Unaids, Oms, Ema, Ecdc, ecc) che raccomandano di favorire al massimo l’accesso alla PrEP e lo dimostrano i dati provenienti dai paesi in cui è rimborsabile (tra questi: Francia, Germania, Spagna Portogallo, Belgio, Danimarca, Finlandia, Regno Unito e molti altri). Destinata, ovviamente, a persone che risultano non aver contratto già l’Hiv, la PrEP può essere assunta da tutte e tutti, quale che sia identità di genere e orientamento sessuale. In Italia può essere prescritta da specialisti in malattie infettive ma le spese sono tutte a carico di cittadini e delle cittadine: quelle per i farmaci (circa 60 euro a confezione) e spesso anche quelli per gli accertamenti diagnostici richiesti. La non gratuità della PrEP costituisce una barriera insormontabile per le persone più giovani e per quei gruppi di popolazione più esposti al virus perché socialmente (e dunque economicamente) più vulnerabili».

In foto Elena Di Cioccio/Agenzia Sintesi


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