Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Sostenibilità sociale e ambientale

Petrini: «Credenti e non credenti con Francesco contro la cultura dello scarto»

Sintesi dell'intervento del gastronomo e sociologo sul numero di VITA magazine di marzo che racconta i primi dieci anni di pontificato: «Bergoglio concepisce la lotta allo scarto come impegno a porre fine alle forme di ingiustizia che impediscono l’emancipazione umana. Nulla ci deve spaventare in questo compito a cui siamo chiamati, credenti o non credenti»

di Carlin Petrini

La mia relazione con papa Francesco ebbe inizio poco dopo la sua nomina a Pontefice. Era il luglio del 2013 e Francesco decise di scegliere come destinazione del suo primo viaggio ufficiale Lampedusa; simbolo della «globalizzazione dell’indifferenza», come la definì lui stesso. Era una chiara presa di posizione, attenzione e sensibilità verso coloro che troppo spesso vengono ingiustamente considerati gli “ultimi” della nostra società (migranti, anziani, donne, indigeni, lavoratori della terra). Sentì da subito un’affinità di intenti con lui; nelle sue denunce di indifferenza verso il prossimo e di condanna della cultura dello scarto vidi rispecchiato il lavoro portato avanti dalla rete di comunità del cibo di Terra Madre (contadini, pescatori, allevatori, indigeni, artigiani), che dal 2004 difendono la diversità di colture e culture alimentari.

Così decisi di scrivergli una lettera in cui esprimevo riconoscenza per la scelta di Lampedusa, e a cui allegavo una copia del mio libro Terra Madre. A seguito di quella lettera, una sera mentre mi trovavo a Parigi per lavoro, ricevetti una chiamata da papa Francesco in persona. Conversammo per una mezz’oretta buona di agricoltura, dell’economia che ha distrutto i contadini e gli raccontai un aneddoto su una cuoca delle mie parti che teneva aperto il locale solo di giorno. Molte erano le richieste da parte dei clienti di tenere aperto anche per la cena. Ma lei rifiutò sempre dicendo che non aveva nessuna intenzione di diventare la più ricca del camposanto. Un’affermazione contadina, che non sottintendeva svogliatezza sul lavoro, ma che si faceva portatrice di un diverso concetto di economia. Un’economia di sussistenza che rigetta la venerazione capitalista del “Dio Denaro” e dà spazio a valori impossibili da quantificare, quali la cura per il territorio e per le relazioni fra le persone. Da quel primo confronto ne sono seguiti molti altri epistolari e fisici, che a dieci anni di distanza riescono ancora a stupirmi.

Nel 2015 le Edizioni Paoline mi chiesero la stesura dell’introduzione alla lettura dell’enciclica Laudato si’. Un testo poetico e politico straordinario in cui ho ritrovato molti dei principi che hanno delineato il mio lavoro negli anni. Nella prefazione scrivevo: «Immancabilmente, parlare di un’ecologia che inizi dentro di noi e si riverberi in tutta la sua potenza fuori con azioni concrete che portino alla pace e a un benessere pieno e condiviso da tutti e tutto, ci fa guardare senza filtri al depauperamento che abbiamo causato alle risorse naturali, alle possibilità future che ci neghiamo, allo svilimento del nostro esistere. […] Finché una cosa— o un essere vivente, e una persona, purtroppo — serve a uno scopo preciso e mi dà ciò che voglio, la uso o intrattengo con essa una relazione. Nel momento in cui questo bisogno non è più soddisfatto si tronca il rapporto. È la cultura dello scarto, il consumismo che tenta di riempire i nostri vuoti. È quello che facciamo con la natura, ma anche con i nostri fratelli e sorelle che muoiono di fame e malnutrizione, soffrono la povertà, con i quali non abbiamo rapporti diretti e non ci possono dare nulla di cui sentiamo bisogno». Tengo sempre a sottolineare come si tratti di un’enciclica sociale, ancora prima che ecologica, ahimè non ancora ben assorbita né dal mondo laico ma neppure da quello cattolico.

Nel 2019 invece fui invitato a partecipare al Sinodo Amazzonico. Nell’accettare tenni a ribadire al Pontefice di essere agnostico e lui mi rispose in maniera affabile definendomi “agnostico pio”, ossia capace di provare pietas per la natura — tutt’oggi ammetto che è una definizione che mi piace molto — . Poter prendere parte a quell’assise è stata un’esperienza straordinaria, dove ho potuto toccar con mano la potenza del dialogo come metodo e processo di apprendimento, un modo per far sì che l’inculturazione non sia qualcosa di univoco ma diventi scambio mutualistico da cui poter imparare. In quella sede decisi di utilizzare lo spazio di dialogo che mi fu offerto per parlare di due categorie di persone fondamentali per l’alimentazione di tutti noi, ma che più di altre nel tempo sono state bistrattate: le donne e gli indigeni. Le donne ovunque nel mondo sono le garanti della sicurezza alimentare delle comunità. Nella vita di ciascuno di noi c’è una mamma o una nonna che ci ha insegnato a cucinare seguendo l’intelligenza del cuore: che ci ha raccolti intorno a un tavolo, ci ha accuditi trasmettendoci i valori PER CONTINUARE A LEGGERE ABBONATI A VITA O ACQUISTA IL SINGOLO NUMERO CLICCANDO QUI


Foto: pexels-arantxa-treva


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA