Politica & Istituzioni

Migranti, le fototrappole di Fedriga? Solo propaganda

In Friuli Venezia Giulia, al voto il 2 e il 3 aprile, la campagna elettorale verte anche sull'utilizzo di fotocamere ad attivazione automatica, che la Regione ha acquistato con lo scopo di monitorare i flussi migratori e di svolgere indagini contro i passeur. Secondo l'esperto di diritto dell'immigrazione Gianfranco Schiavone si tratta più di propaganda che di un'azione veramente efficace

di Veronica Rossi

In Friuli Venezia Giulia, al voto domenica e lunedì, la campagna elettorale per i candidati alla presidenza e al consiglio regionale sta giungendo in queste ore alle battute finali. Tra i volantini della Lega, partito che sostiene l'attuale governatore, Massimiliano Fedriga, anche uno in cui si legge un titolo del Corriere della Sera: «Trieste, foto-trappole nei boschi: così la Regione controllerà l’ingresso dei migranti da Est», accompagnato da una didascalia, che promette sempre più sicurezza per i cittadini del Friuli Venezia Giulia. Ed effettivamente, negli scorsi giorni sono state consegnate alle forze di polizia 65 fotocamere ad attivazione automatica acquistate lo scorso anno, con l’intento di monitorare chi giunge in Italia attraverso la «rotta balcanica». Questi dispositivi, come ha dichiarato al Corriere Pier Paolo Roberti, assessore regionale alle autonomie locali, funzione pubblica, sicurezza, immigrazione, dovrebbero costituire degli «strumenti per individuare, spostare e rintracciare i flussi di migranti e poter svolgere indagini contro i passeur». Ne abbiamo parlato con Gianfranco Schiavone, membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione – Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà – Ics, associazione di Trieste che si occupa della tutela e dell’accoglienza di richiedenti asilo, rifugiati e persone titolari di protezione temporanea o sussidiaria.

Cosa ne pensa dell’utilità delle fotocamere lungo i confini?

Penso si tratti di una grande operazione di propaganda. Il passaggio da un Paese all'altro, in Unione europea, può avvenire ovunque, come sanno bene i turisti che fanno sentieri di montagna nella nostra regione; valicare un confine non rappresenta di per sé una violazione, l'intenzione è quella di capire dalle immagini se le persone sono straniere o presunte tali. Il punto, però, è che la fototrappola non modifica l’ordinamento giuridico. Esiste un diritto a presentare domanda di asilo che non viene meno perché la persona è stata immortalata da una fotocamera ad attivazione automatica. Questa iniziativa non ha nulla a che fare con il controllo delle migrazioni, meno che meno con il fermare le persone. Semmai, ci potrebbe essere un aspetto un po’ ironico.

Quale?

La fototrappola, teoricamente, potrebbe dimostrare che la persona è entrata nel nostro Paese: se un migrante verrà respinto – pensiamo alla pratica delle riammissioni informali – il video potrebbe costituire una prova del suo ingresso su suolo italiano e quindi del suo diritto a presentare domanda di asilo.

Una delle motivazioni a sostegno di questi dispositivi è lo svolgimento di indagini contro i passeur.

Fermo restando che questa eventualità non si può escludere del tutto, mi sembra una possibilità molto remota. Le fotocamere immortalerebbero solo persone che camminano, uno non ce l’ha scritto sulla fronte che è un passeur. Certo, se si interviene più rapidamente si può anche interrogare più rapidamente, ma bisogna tener conto di alcune questioni. Innanzitutto le persone che aiutano i migranti a passare non fanno necessariamente i sentieri con loro; se ci sono, parlarne come di pesci piccoli è un eufemismo, hanno un ruolo insignificante nelle organizzazioni del traffico. Di solito le inchieste di questo tipo non vanno da nessuna parte, perché dagli ultimi anelli della catena non si riesce ad arrivare a chi ricopre posizioni più alte.

Poco fa parlava di riammissioni informali, respingimenti alla frontiera per i quali i migranti arrivati a Nord-Est, venivano riconsegnati alla polizia slovena. Questa pratica è stata ritenuta illegale da una sentenza del Tribunale di Roma a gennaio 2021. Qual è la situazione ora?

Il governo italiano non ne ha mai ammesso l’illegittimità. Nella realtà dei fatti, però, adesso non ci sono per due motivi. Uno è un cambio di orientamento da parte della Slovenia, che intende rispettare maggiormente la normativa internazionale. In secondo luogo la polizia italiana è più cauta , temono che ogni irregolarità possa essere fonte di nuove inchieste giudiziarie, soprattutto dopo l’eco mediatico che c’è stato, a cui ha contribuito il film di Andrea Segre (Trieste è bella di notte, di cui avevamo scritto un articolo in occasione dell’uscita, ndr). Anche in questo caso si fa propaganda: non si ammette che le riammissioni informali non si possono fare, per dare all’ «uomo comune» l’illusione che si respinga, si blocchi, eccetera. Ma la realtà è diversa.

Qual è la realtà della «rotta balcanica»?

Nel 2022 c’è stato un aumento abbastanza significativo, anche se non emergenziale. La percentuale di migranti afghani, già maggioritaria, è ulteriormente aumentata, segno di ciò che tutti sappiamo: è in corso una fuga incontrollabile da un Paese che sprofonda nel caos; contemporaneamente diminuisce sempre più l’età delle persone in arrivo. A determinare questi maggiori flussi sono prioritariamente le condizioni delle aree di provenienza, che spesso vengono ignorate quando si parla del fenomeno migratorio .

In apertura, un fotogramma del documentario Trieste è bella di notte


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