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Education & Scuola

Padova, superscuola in inglese per includere i figli dei migranti

Grazie al contributo dell'Unione buddista italiana, una fondazione sviluppa percorsi formativi, curriculari ed extracurriculari, per gli studenti tra i 5 e i 14 anni, basati sull’uso della lingua, della robotica e lo sviluppo del benessere socio emotivo. Obiettivo: ridurre le disuguaglianze e promuovere la collaborazione, la pace e la giustizia

di Rossana Certini

Aprire la strada a metodi di insegnamento innovativi, inclusivi e di valore per accendere la scintilla tra i giovani e aumentare la loro voglia di essere parte attiva e integrante della vita della scuola e, in generale, del Paese. Questo l’obiettivo del progetto Quartieri educanti finanziato dall'Unione buddhista italiana e sviluppato da Fondazione Fenice onlus nei sette plessi scolastici dell’istituto comprensivo San Camillo di Padova.

«Vogliamo offrire ai ragazzi» spiega Andreas Spatharos, direttore organizzativo della Fondazione Fenice onlus, «opportunità di visione. Occasioni pratiche per mettersi in gioco. Crediamo che per chi oggi ha dai 5 ai 14 anni il domani è dietro l’angolo e sapersi appassionare alle nuove tecnologie e alle lingue straniere è fondamentale. Il progetto Quartieri educanti è nato pensando a questo».

Un progetto pionieristico che ha l’ambizione di aprire la strada a metodi di insegnamento innovativi, inclusivi e di valore attraverso quattro laboratori: il primo, Agenda 2030 experience, intende stimolare una riflessione sugli obiettivi di sviluppo sostenibile; il secondo di robotica, vuole formare gli studenti alla programmazione e al coding attraverso l’uso di robot e droni; il terzo di inglese, con docenti madrelingua che adottano un approccio ludico e didattico incentrato sulla spontaneità e sull’ascolto, portando gli studenti al centro dell’esperienza linguistica relazionale ed emotiva per far emergere i loro talenti e, infine, il laboratorio di regolazione emotiva, svolta in collaborazione con Isola della calma, un gruppo di ricerca del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'Università degli studi di Padova.

«Il coding, per esempio», prosegue Spatharos, «sviluppa nei bambini e nei ragazzi il pensiero computazionale ossia quei processi mentali che consentono di risolvere problemi di varia natura seguendo metodi e strumenti specifici. Dunque nei nostri lavoratori i ragazzi attraverso la tecnologia imparano a frammentare i grandi problemi per poter trovare una soluzione. Cerchiamo anche di rendere i ragazzi consapevoli dell’importanza di rispettare il nostro pianeta. Spieghiamo, soprattutto ai ragazzi più grandi, che non esiste un’energia rinnovabile buona e una cattiva ma a seconda della condizione in cui ci troviamo esiste un insieme di tecnologie utili a mantenere gli attuali standard di vita e la salvaguardia del pianeta. Crediamo, inoltre, che star bene con se stessi migliora l’apprendimento. Per questo abbiamo sviluppato i laboratori di regolazione emotiva».

Il progetto a oggi ha coinvolto oltre 800 soggetti tra studenti, docenti e genitori. «Soprattutto nelle classi con alta intensità migratoria», spiega Fabio Rocco, insegnate e coordinatore del progetto, «per la prima volta l’uso della lingua inglese ha reso i bambini stranieri protagonisti delle attività. È accaduto che alcuni alunni, che spesso non si sentono coinvolti dalle lezioni, si sono appassionati anche ai lavori fatti in gruppo. Per noi insegnati vedere studenti che di solito non partecipa attivamente alle lezioni che durante i laboratori insegnavano ai compagni come fare le attività proposte è stato molto bello. Ci ha dato la dimensione di come può essere possibile far scoccare le “scintille” delle curiosità nei nostri alunni».

A completare il progetto tre corsi di italiano, realizzati in orario scolastico con servizio di animazione per bambini in età prescolare, a cui hanno partecipato 40 genitori, prevalentemente mamme.

«I corsi» conclude Rocco «sono stati fondamentali per l’inclusione delle famiglie che di solito fanno fatica a inserirsi per ragioni linguistici. In questo modo si sono create le condizioni per un rapporto diretto tra genitori e scuola superando la mediazione spesso necessaria. All’interno dei corsi si sono create relazioni non solo con l’insegnante ma anche tra mamme di comunità diverse che solitamente non interagivano tra loro. Tutto questo ha innescato un modo di stare insieme a scuola più bello dal punto di vista delle dinamiche relazionali».


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