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Noragùgume, i veri cambiamenti sono invisibili

Noragugume, provincia di Nuoro, 283 abitanti. Sindaca da meno di tre anni, Rita Zaru affronta una difficoltà estrema all'innovazione di un territorio flagellato dalle cavallette nei campi e dalla resistenza alla coesione sociale. Ma non si arrende e in questo dialogo ci spiega come lavora 14 ore al giorno al "cambiamento che non si vede"

di Gabriella Debora Giorgione

I piccoli comuni sono terre bellissime. Ma anche complesse. Alle volte inaspettate.
Questo "viaggio in Italia" è in realtà un viaggio nelle "mille Italie": ogni Comune una propria storia, una propria lingua, una propria complessità. Anche nella stessa regione, anche a pochi chilometri di distanza. Siamo l'Italia dei Comuni. Anzi, dei piccoli comuni.

Noragùgume, con l'accento tonico sulla prima u e non scherziamo!
Siamo in Sardegna, nella provincia di Nuoro, piana di Ottana tra il lago Omodeo e la catena montuosa del Marghine. Proprio qui, nel Marghine, è ancora viva la lingua sarda logudorese, con influenze barbaricine e campidanesi. Il sardo del Marghine sarebbe lo stesso che si parla nel Meilogu e nel Goceano. Le prime lettere del nome del paese Nor- richiamano forse l’antica presenza di un insediamento nuragico. Terra complessa, la Sardegna interna.
La sindaca Rita Zaru è a casa, reduce da una brutta influenza anche lei. Parla però con voce molto ferma, sottolinea con i toni e gli sguardi i momenti in cui racconta con sofferenza le sofferenze della sua comunità dove è forte il matriarcato. A tratti si commuove nel racconto, ma in questa intervista abbiamo deciso di riportare solo i temi della nostra rubrica, cioè il presente e il futuro di Noragugume.

Noragùgume, ho detto bene? 283 abitanti nel cuore della Sardegna…
Sì. Siamo un po’ al minimo storico, anche se in passato abbiamo raggiunto cifre inferiori che coincidevano con le migrazioni economiche, quando con la nave Cavour si andava nelle americhe.

E adesso?
Adesso invece c'è stata una nuova crisi dovuta alla chiusura della fabbrica di Ottana che aveva affrancato molti braccianti dalla terra. Però, una volta chiusa la fabbrica, gli operai avevano perso anche l'attitudine a lavorare la terra. In questo preciso momento storico grazie anche alla Pac c’è un ritorno dei giovani all'agricoltura, c’è un grande amore, una riscoperta del legame tra uomo e terra, anche la pandemia ci ha fatto capire il valore della libertà e degli spazi aperti. E poi la crisi economica ha messo in evidenza una forte dipendenza dell'Italia dai paesi dell'est per le produzioni cerealicole e orticole, quindi ci ha fatto anche comprendere che abbiamo ampi margini per recuperare questo legame con la terra e che forse dovremmo reinvestire in una politica agricola. La zona dove io vivo, la media Valle del Tirso, è una delle zone più fertili del centro Sardegna, è l’ex granaio dei romani con una vocazione agricola molto forte. I giovani stanno riscoprendo questo forte legame con la propria terra e con le tradizioni, solo che i servizi essenziali sono troppo carenti per rendere appetibile restare.

E si stanno formando anche cooperative formate da giovani?
La Sardegna purtroppo ha una cultura molto lontana dal cooperativismo, non hanno mai attecchito le forme di cooperazione. Nascono delle grandi aziende agricole, ma non in forma associativa. È un vecchio retaggio culturale, abbiamo ancora la sindrome del conquistato: chi ha voluto conquistare la Sardegna ci ha sempre divisi. Qualsiasi forma di cooperativismo in Sardegna è quindi sempre fallita e questo si è codificato geneticamente. Le uniche forme di cooperazione avvengono all’interno del clan familiare.

Un sindaco potrebbe però promuoverla, una cultura di cooperativismo e di partecipazione.
I tempi non sono ancora maturi, anche perché per poter avviare tutto questo ci vogliono numeri. Non abbiamo neanche forme di associazionismo, qui mancano persino una pro loco e un'associazione culturale. Ci stiamo lavorando, ma è un processo lento, che richiede tempo.

Tempo che però forse non avete…
Sono perfettamente consapevole di questo, so che è un grosso limite, stiamo cercando di promuovere questa cultura, ma i cambiamenti culturali sono lenti.

Lei è anche sindaca da poco…
Sì, ho iniziato la mia avventura il 26 ottobre del 2020: eravamo in piena pandemia quindi sono entrata col botto e per un anno ho solo gestito emergenze e con soli due dipendenti, abbiamo un segretario comunale a scavalco che si occupa di altri 10 Comuni e con il quale spesso lavoriamo in videoconferenza per il disbrigo degli atti.

E con il Pnrr come state facendo?
Molti non si rendono conto del dramma che stanno vivendo gli Enti locali con l’aggravarsi delle competenze e con la necessità di programmare ingenti somme di denaro provenienti dal Pnrr che ha bandi velocissimi. Io mi sono ritrovata a dover fare le richieste di finanziamento da sola perché non avevo il personale per farlo. Ci manca anche un operaio, pensi che quando scatta il quadro elettrico dell’illuminazione pubblica mi capita spesso alle 10 di sera di uscire in pigiama e ciabatte per riattaccarlo. Abbiamo seri problemi anche nella sanità: ad esempio tutta la sub-regione dove abito, il Marghine, ha 2mila persone senza un medico perché nessuno vuole venire nella “periferia dell’impero”.

(alcune foto sotto sono di Sergio Melis e Gianni Careddu)

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Ma c’è un altro grosso problema, sindaca, vero?
Le cavallette, sì. Il centro della Sardegna non è nuovo all'invasione delle cavallette, nel 1946 l'istituto Luce fece un video in cui l'invasione delle cavallette era talmente forte che quando si alzavano in volo oscuravano il sole. Un’altra ondata fu nel 1986-1987. Nel 2019 sono ripresi i primi focolai. La zona della media Valle del Tirso ha delle condizioni ambientali e geografiche tali per cui l’ovideposizione delle cavallette è particolarmente favorita. Anche gli allevamenti intensivi e il calpestìo eccessivo da parte del bestiame provocano sul terreno le condizioni favorevoli per cui la locusta del Marocco possa deporre le uova in questa valle. Tra Noragugume, Ottana, Bolotana e Sedilo siamo a circa 6mila ettari di ovideposizione che hanno invaso altri 60mila ettari. Sono degli animali voracissimi, si riproducono in maniera esponenziale perché ciascuna cavalletta depone fino a 70 uova. In un’ora fanno fuori interi campi di ortive e divorano tutto quello che trovano, persino i rovi.

Non ha chiesto nessun aiuto?
Sono arrivata fino in Europa, alla FAO, ci sono danni stimati per 25 milioni di euro all'anno e va avanti da cinque anni. La FAO ci ha mandato il massimo esperto. Abbiamo adesso qui a Noragugume la centrale operativa che geolocalizza la deposizione delle uova e appena inizia la schiusa si deve intervenire con una disinfestazione perché appena nascono non hanno le ali e la corazza, per sei giorni restano immobili, quindi quello è l’unico momento in cui sono vulnerabili. Dopodiché volano anche per 80 chilometri al giorno, mangiano per 400 volte il loro peso. Per la centrale operativa però non abbiamo la connessione con la fibra, ci avvaliamo di ponti radio con collegamenti privati e quindi stiamo cercando di migliorarla.

La disinfestazione non avvelena la terra? E la vocazione agricola?
I prodotti utilizzati hanno l'autorizzazione del Ministero della Sanità. Per quindici giorni c’è il divieto di pascolo. Aggiungo un'ultima cosa: non è arrivato ancora un euro di ristoro per gli allevatori, siamo un'economia in ginocchio.

In questa situazione come fa a fare programmazione, progettazione, welfare?
Più del 70% della mia giornata è occupata dalla contingenza, fare programmazione è difficilissimo, io lavoro insieme ai dipendenti, è un’attività totalizzante di 14 ore al giorno.

Si chiede mai chi glielo ha fatto fare?
Quando si inizia non si è consapevoli di questo grosso impegno. L'importante è non pensarci troppo: la mattina non guardo gli impegni che mi aspettano, li faccio e basta e alla fine della giornata io stessa mi stupisco di quello che ho fatto. Questo impegno spesso non viene percepito dalla comunità. Si lavora per evitare disastri, per evitare il peggio, ma non hai migliorato, i veri risultati magari arriveranno fra dieci anni.

Scuole, giovani?
Lo scorso anno abbiamo avuto dieci decessi e due nascite. Scuole di nessun ordine e grado. Circa una trentina di giovani. Gli uomini lavorano nelle campagne anche con grosse realtà produttive. La vita sociale ruota intorno alle tradizioni religiose, c'è una forte identità legata al cavallo e alla cura del cavallo, l'abilità degli uomini si dimostra da sempre nell'arte equestre, ancora persiste questa vecchia tradizione del “parigliare” con l'antica “Ardia” che è pari di quella che si corre a Sedilo per la festa di San Costantino. Quest’anno, però, per la prima volta i ragazzi si costituiranno in un comitato con un atto costitutivo registrato e riconosciuto, quindi è un momento storico di cambiamento e di adesione alle norme e alle regole. E stiamo lavorando alla creazione di un’associazione culturale o una pro-loco.

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Ma come lo programmiamo il futuro, sindaca?
Si stanno mettendo in campo delle politiche attive per favorire l'insediamento di giovani coppie sul territorio con un finanziamento di 600 euro al mese per i nuovi nati e per 5 anni. Un altro finanziamento per 15mila euro per chi intraprende nuove attività; 15mila euro per chi acquista o ristruttura la prima casa favorendo le nuove e giovani coppie. Con il bando del servizio civile abbiamo attivato un campo scuola gratuito aperto tutto l'anno, ma ci è costato 50mila euro e non sappiamo se potremo permettercelo ancora.

Quante disabilità, quanti redditi di cittadinanza? Accoglienza delle persone migranti?
Due o tre disabilità, il reddito di cittadinanza viene gestito a livello dell'Unione dei comuni. E anche il progetto Sai è dell'Unione e stiamo lavorando per portarlo anche qui.

Sindaca, ma dopo questo mandato?
Non lo so. Sono talmente presa dal concluderlo, questo mandato, che non ho avuto il tempo di pensare a quello che potrà essere il futuro. Molto dipenderà dai risultati che si riescono a raggiungere in termini di cambiamento. Solo che i veri cambiamenti sono invisibili e si ottengono con i cambiamenti di mentalità e di cultura. Però è un processo lento e molto spesso ingrato perché non è visibile. Forse è per questo che c’è una fuga dalla vita politica e dall'impegno politico, soprattutto nei piccoli comuni. Ma io sono qui per provarci e riuscirci.

Sabato 15 aprile saremo in Campania, a Molinara, piccolo comune sannita, dove incontreremo il sindaco Giuseppe Addabbo


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