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A Caltagirone c’è un luogo dell’anima in cui l’arte e il teatro fanno scintille

Si chiama “Scalamatrice33” ed è uno spazio nel cuore del centro storico di Caltagirone nel quale l’arte diventa occasione per riflettere anche su temi sociali. Come nel caso di “Scintille”, collettiva di 14 artiste siciliane, le cui opere rafforzano l’omonimo spettacolo, scritto e diretto dalla regista Laura Sicignano, sull’incendio in una fabbrica di New York che, in un pomeriggio del 1911, causò la morte di 146 operai, in gran parte donne

di Gilda Sciortino

È il 25 marzo del 1911 quando, nella fabbrica di camicette “Triangle” di New York si consuma il più grande incidente industriale della storia di New York, ma non solo. Un tragico pomeriggio nel quale perdono la vita 146 persone, 123 delle quali donne – per lo più giovani italiane o ebree dell’Europa orientale – e 23 uomini. Una storia che parla di morti “bianche” e giustizia negata che, dopo più di un secolo, è purtroppo sempre attuale.

Una tragedia che ha inizio all’ottavo piano della Shirtwaist Company. Occupando la fabbrica gli ultimi tre piani di un palazzo di dieci piani, 62 delle vittime morirono nel tentativo disperato di salvarsi lanciandosi dalle finestre dello stabile. Inesistenti, infatti, le vie d’uscita dal momento che i proprietari tenevano gli operai chiusi a chiave per paura che rubassero o facessero troppe pause.

In seguito a questo evento, dall’eco sociale e politico mondiale, vennero varate nuove leggi sulla sicurezza sul lavoro e crebbero notevolmente le adesioni all’ “International Ladies’ Garment Workers’ Union”, oggi uno dei più importanti sindacati degli Stati Uniti.

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Un capitolo triste della storia dell’umanità che ha ispirato la letteratura, ma anche il teatro grazie alla sensibilità di registi come Laura Sicignano che con “Scintille” porta in scena uno spettacolo che lei stessa definisce con un ossimoro “Un monologo corale”, rievocando quella drammatica giornata dal punto di vista delle protagoniste, una madre e due figlie, emigrate dall’Italia in cerca di fortuna.

«Non una narrazione, ma una molteplicità di interpretazioni, dove il personaggio di una madre, Caterina, come una matrioska, contiene ed emana da sé gli altri personaggi, le figlie, e un coro di altre figure secondarie, ma affatto minori. Nessuno è, infatti, minore in questa storia – spiega la stessa regista – scritta per restituire voce alle 146 operaie bruciate in appena 18 minuti come streghe ribelli, in una grandine di lucide scintille che si sono disperse nell’aria in cenere. La storia minore delle donne che hanno fatto la Grande Storia, ma sono state dimenticate. Perché? La domanda “perché” ritorna nello spettacolo, come un’accusa a un destino che le protagoniste non riescono più a chiamare Dio. Perché, che Dio è quello che manda i suoi figli a morire?».

Un testo che ha una lunga storia, ma anche una grande fortuna. Scritto nel 2011, è stato prodotto nel 2012 come spettacolo completo con Laura Curino, con una tournée nazionale e internazionale andata avanti quasi senza interruzione fino all’anno scorso. Ha vinto alcuni premi, è stato prodotto anche in Francia, rappresentato a New York e anche a Montevideo.

«È una storia vera, come spesso mi piace portare a teatro – aggiunge la Sicignano – che parte dall’elenco delle 146 vittime, tra le quali spiccano alcune famiglie, come la Maltese: la madre, Caterina, 39 anni; Lucia, 20 anni; Rosa, 14. Mi sono chiesta chi fossero queste donne, come si immaginavano il loro futuro e quello dei loro figli quando sono partite alla ricerca del sogno americano, della terra promessa. Caterina cuce in scena due camicie: quelle delle sue figlie bruciate. Il prezzo pagato per la consapevolezza e l’emancipazione è il grande sacrificio delle operaie bruciate in un luogo in cui si erano tenute delle proteste prima dell’incendio per le condizioni di lavoro di sfruttamento e per la mancanza delle più elementari norme di sicurezza. Si cuciva, si lavorava con le lampade a gas, quindi con un’altissima pericolosità, tanto più che le operaie venivano chiuse a chiave per evitare che uscissero prima del tempo. È un evento che ha ispirato le celebrazioni dell’8 marzo, data scelta per commemorare una serie di eventi tra cui la rivoluzione russa che nasce da una protesta di donne che scendono in piazza per chiedere il pane e la pace, come anche la prima Internazionale Socialista delle donne che si è tenuta sempre in quegli anni. Questo solo per fare qualche esempio di eventi accaduti a marzo. L’incendio di New York è comunque la chiave di volta perché poi furono garantiti maggiori diritti alle donne lavoratrici e norme di sicurezza per evitrare di replicare quanto accaduto».

Alla fine, il testimone passa allo spettatore, a cui l’attrice chiede di non dimenticare, con la dolcezza dolorosa di chi ha subito un torto, ma non può da sola trovare un risarcimento. Uno spettacolo per scrivere il quale Laura Sicignano ha dovuto affidarsi alla ricerca di fonti accreditate.

«Certo, c’è un margine di libertà poetica, ma i fatti sono documentati storicamente. Non ho usato la lingua siciliana perché non la conosco, ma ho scelto un italiano un po’ sporcato, come quella che era la lingua di mia nonna che invece era dell’Appennino tosco-emiliano da dove provenivano molte di quelle donne. Mi aveva colpito molto questo nucleo familiare così, studiando, ho scoperto che il marito era sopravvissuto perché non lavorava in quella fabbrica di camicette. Storia complessa, intensa e anche impegnativa da rappresentare perché in scena c’è una voce sola che anima una molteplicità di personaggi».

Uno spettacolo purtroppo drammaticamente attuale perché nel mondo oggi si continua a morire di lavoro, continuando a esserci un grande divario nelle condizioni tra uomo e donna. Le donne in modo particolare venivano sfruttate doppiamente in quanto donne e in quanto immigrate. In generale avevano minori tutele, minori diritti, minori possibilità.

«Nel mio monologo la narratrice principale è la madre che, come una sorta di matrioska, contiene tutti quanti i racconti, è anche l’unica che ha la tremenda sfortuna di sopravvivere alle proprie figlie, avendo la possibilità di chiedere a chi la ascolta di non dimenticare. Molto importante in quanto la memoria di un fatto, di una storia così importante può essere la base per costruire il futuro».

Potente “Scintille”, come quelle che scoppiarono nella fabbrica, facendo evolvere drammaticamente questa storia, ma anche come energia vitale che crea. Caltagirone è il comune siciliano, in provincia di Catania, nel quale lo spettacolo è stato portato in scena in occasione del vernissage dell’omonima collettiva di 14 artiste siciliane, 14 donne che si si sono unite per costruire un percorso prima di tutto umano veramente unico, promosso daScalamatrice33, un edificio del ‘700 nel cuore del centro storico che veniva utilizzato come casinò dei nobili, luogo istituzionale in cui si riuniva la nobiltà locale.

Daniela Balsamo (Palermo), Ilde Barone (Modica), Maria Buemi (Catania), TizianaCandido (Catania), Anna D’Amico (Catania), Giovanna Gennaro (Modica), Santina Grimaldi (Caltagirone), Grazia Inserillo (Isola delle Femmine), Tamara Marino (Vittoria), Stefania Orrù (Zafferana Etnea), Cetty Previtera (Zafferana Etnea), Lucia Ragusa (Catania), Filippa Santangelo (Buccheri) e Samantha Torrisi (Catania), insieme a Grazia Calanna che ha scritto il testo critico della mostra sono le autrici di queste opere che si potranno ammirare fino al prossimo 20 maggio alla Corte Capitaniale di Caltagirone.

A rendere possibile questo momento di elevazione anche spirituale è Giuseppe Cona, l'anima dell'iniziativa che ancora una volta propone in città un momento dedicato all'arte quale occasione di riflessione, in questo caso su un argomento che riguardano il mondo femminile e i grandi sacrifici a cui sono andate (e vanno) incontro le donne, anche a costo della loro vita.

Un’occasione per raccontare attraverso l’arte tematiche difficili da narrare ma importanti da tramettere. Quando a incontrarsi, poi, sono teatro e pittura, la narrazione viaggia all’unisono su registri diversi ma desiderosi di comprendersi e donarsi a chi sa ascoltare.

«L’idea di unire collettiva e spettacolo – spiega Cona – nasce anni fa quando ho assistito all’opera di Laura Sicignano su questo evento che ha segnato la storia di New York. Vorrei, però, non dimenticare e fare memoria di un analogo episodio avvenuto nel 2013 in Bangladesh dove morirono 123 operai in una fabbrica di abbigliamento. La maggior parte erano anche in questo caso donne perché questo genere di lavoro viene portato avanti soprattutto da loro in fabbriche che solitamente hanno committenti occidentali».

Doppia la lettura a cui si presta “Scintille”.

«Ho immaginato anche la scintilla positiva da cui si accende un motore che ci ricollega alla nostra anima. Ulteriore aspetto positivo l’avere fatto scoppiare la sensibilità comune. Ognuna delle 14 artiste della collettiva – afferma in conclusione Giuseppe Cona – ha esperienze di esposizioni internazionali e qui hanno portato opere che fanno pensare: acrilici, tratti di matita su carta, corredi i cui tessuti sono un intreccio di reti, lino, cotone. La collettiva ha una sua potenza non solo perché frutto del talento femminile, ma anche in quanto trova casa in uno spazio, un luogo anche abbastanza anomalo rispetto a quelli che si trovano in giro. Lo dico con un pizzico di orgoglio, anche perché testimoniato dal fatto che da qui sono passati e continuano a passare tra più importanti artisti siciliani e non solo. Esponenti della pittura contemporanea grazie ai quali Caltagirone è stata definita capitale siciliana dell’arte contemporanea, non dimenticando che lo è anche del barocco e della ceramica, da sempre nostro grande vanto. “Scalamatrice33” è un progetto dietro al quale c’è una grande capacità di aggregazione come quella che solo l’arte riesce a possedere. È, però soprattutto un luogo dell’anima, così definito da tutti coloro i quali sono passati anche solo per una breve visita, che esprime l’esigenza di bello, non sono estetico ma anche interiore. Una piccola oasi lontana da logiche mercantili e di opportunismo, nella quale potere ritrovare sé stessi».