Solidarietà & Volontariato

Post terremoto, come si ricostruisce una comunità

La Croce Rossa Italiana ha presentato un documento che indaga le modalità di ricostruzione delle comunità colpite, rendendo l’Italia un caso-studio nel panorama internazionale da un punto di vista di advocacy

di Barbara Polidori

«La città non esiste più». Furono queste le parole che il Sindaco di Amatrice pronunciò il 24 agosto 2016 a poche ore dal sisma che rase al suolo il comune del reatino, non si riferiva solamente al crollo della maggior parte delle strutture fisiche, come edifici, piazze, strade e chiese, ma anche alla distruzione della dimensione comunitaria della città. Sono trascorsi più di sei anni dai tragici eventi di quel giorno, una parte delle ferite è rimarginata ma per la memoria collettiva e la sofferenza delle persone, c’è ancora molto su cui lavorare. Le vittime del sisma del Centro Italia patiscono ancora le conseguenze del sisma ed è soprattutto grazie alle associazioni e ai volontari, in primis della Croce rossa italiana, se in questi anni è stato possibile ricostruire il tessuto sociale che il terremoto del 2016-2017 avevano disgregato. «Davanti al Sisma del Centro Italia, la Croce rossa italiana non solo ha confermato il suo ruolo primario di operatore di emergenza, ma ha anche lanciato il cuore oltre l’ostacolo, promuovendo una raccolta fondi destinata a finanziare interventi post terremoto e avviando numerosi progetti per la ricostruzione», con queste parole oggi, nella sede nazionale della Cri, Rosario Valastro, presidente della Croce Rossa Italiana, ha descritto l’impegno dell’associazione a seguito del sisma. Il processo di ricostruzione a distanza di anni è non è concluso, sono ancora molte le persone che aspettano il ritorno a una condizione di “normalità” e per questo motivo la Cri ha presentato quest’oggi il rapporto “Ripresa e ricostruzione post-disastro. Il modello normativo italiano e il sisma nel Centro Italia del 2016-2017” che indaga le modalità di ricostruzione delle comunità colpite, rendendo l’Italia un caso-studio nel panorama internazionale da un punto di vista di advocacy e spronando all’adozione di buone pratiche negli stati di crisi anche da parte di altri Paesi.

Dall’emergenza alla ricostruzione: il modello italiano post terremoto
Partendo dall’analisi dell’attuale modello di governance di ripresa e ricostruzione post-disastro in Italia, il documento presentato dalla Cri analizza gli eventi sismici che hanno colpito le regioni del Centro Italia e si inserisce appieno nel progetto internazionale di ricerca sul ruolo del diritto nella “disaster delivery” della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (Ifrc).«Il rapporto vuole dimostrare l’impegno della Cri in Italia e proporlo come modello in ambito internazionale, confrontando l’approccio adottato con le criticità proprie dell’emergenza e comunicando così che l’umanità va di pari passo con l’efficienza», ha aggiunto Valastro.Questo spiega perché nel report “Ripresa e ricostruzione post-disastro” sia data una nuova centralità a fattori come la tutela delle persone con vulnerabilità specifiche, la salvaguardia degli aspetti comunitari, culturali e educativi, o la tutela dell’ambiente e utilizzo sostenibile delle risorse per accelerare la ripresa delle comunità in tutte le anime che le compongono.

Assieme alla fase emergenziale di soccorso post-disastro, alla quale è in genere dedicata una maggiore attenzione sia mediatica sia scientifica, una parte altrettanto rilevante dei meccanismi di governance trattati nel rapporto della Cri riguarda le fasi di “ripresa” e di “ricostruzione”. Si tratta di due fasi fondamentali non solo perché definiscono modalità e tempi di ritorno a una condizione di normalità, ma anche perché gli interventi strutturali di medio e lungo periodo su cui insistono le associazioni e le istituzioni determinano sia i livelli di rischio futuri a cui si espongono nuovamente le comunità, sia costituiscono le basi per lo sviluppo successivo delle comunità colpite. Si tratta di processi estremamente complessi che coinvolgono al contempo il patrimonio umano, culturale, sociale ed economico dei territori interessati, assumendo ogni volta caratteristiche proprie.

«La Cri ha risposto concretamente alle priorità delle comunità violate da questo disastro. Nel 2017, all’interno della Croce rossa italiana è stata creata l’Unità di progetto ‘Sisma Centro Italia’, a conferma dell’impegno preso dall’Associazione nelle aree colpite dal terremoto. In sei anni» – ha precisato Valastro – «abbiamo realizzato e consegnato ai territori 9 opere, 3 dovrebbero essere completate nel corso del 2023 ed altre 3 ancora tra il 2024 e il 2025. La Croce rossa italiana ha dato continuità al proprio operato, ha confermato di esserci stata durante il terremoto e di non aver mai lasciato sole le persone e le istituzioni davanti alle sue conseguenze. C’eravamo, ci siamo e continueremo a esserci».

Superare i labirinti normativi per rimarginare i traumi emergenziali
Tra gli obiettivi del reparto Cri, c’è anche quello di indirizzare gli sviluppi legislativi futuri, a livello nazionale e internazionale, al fine di garantire una più efficace risposta alle comunità colpite da disastro, favorendone così il ritorno alla normalità. «Vogliamo evitare labirinti normativi e creare un testo unico che permetta anche alle comunità di essere coinvolte in questo processo di ricostruzione normativo», ha spiegato Tommaso Natoli, collaboratore della Cri e consulente Irfc DIsaster. «L’auspicio di Cri è di poter consentire una ripresa rapida, inclusiva e sostenibile delle comunità post sisma grazie a nuovi modelli normativi».

«Il Dl ricostruzione, approvato il mese scorso, consente di affrontare le fasi di ricostruzione e rigenerazione con qualche elemento normativo più semplice e più idoneo al recupero della vita, per evitare il rischio di spopolamento che incombe sempre sulle aree colpite da catastrofi naturali», ha dichiarato Guido Castelli, commissario per la Ricostruzione post terremoto del Centro Italia, «Dobbiamo ricostruire meglio: ci saranno altri terremoti, purtroppo, e di fronte a questa certezza», ha aggiunto Castelli, «dobbiamo fare in modo che tutto ciò che può essere fatto in termini di prevenzione sia fatto».

«La Protezione civile è materia viva, racchiude nel suo percorso qualcosa che necessita di essere sempre aggiornato per andare incontro alle esigenze dei cittadini, esigenze che cambiano di continuo. Non è un caso che a ogni emergenza il sistema di protezione civile modifichi e si evolva», ha spiegato Fabrizio Curcio, capo del Dipartimento della Protezione Civile, «Non dobbiamo pensare a una normativa statica, ma su come questa possa modificarsi. Negli ultimi tempi l'Italia ha dovuto affrontare diverse emergenze come il Covid e la gestione dei profughi dall'Ucraina, perciò il sistema deve essere in grado di prevedere come eventi di questo tipo possano impattare, sollecitando una riflessione sempre più ampia sulle sue capacità di intervento. Il pronto soccorso è un punto di un percorso molto più ampio».


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