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Innovazione, liberare la conoscenza per ridurre le disuguaglianze

Un Manifesto del Forum Disuguaglianze e diversità propone alla classe politica una serie di interventi necessari per rendere finalmente fruibile a tutti il sapere e promuovere uno sviluppo segnato da giustizia sociale e ambientale. Per "curare l’interesse delle persone e non delle imprese private"

di Redazione

Rendere fruibile a tutti la conoscenza promuovendo una nuova stagione di politiche pubbliche per l’innovazione, uno sviluppo segnato da giustizia sociale e ambientale e la riduzione delle disuguaglianze. Erano chiari sin dall’origine i presupposti con cui era stato organizzato l’evento “Liberare la conoscenza per ridurre le disuguaglianze”, che si è svolto oggi alla Fondazione Basso di Roma. «Montagne di dati, di informazioni e di conoscenza che, anche grazie alla tecnologia digitale, potremmo usare collettivamente per prendere decisioni migliori attraverso il confronto, sono invece controllate da pochissimi nel loro interesse, per creare monopoli, alterare le nostre preferenze e dare un velo di oggettività ad assunzioni o decisioni discriminatorie», ha esordito Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e diversità, nell’apertura dei lavori.

Sin dalla sua nascita, il Forum ha messo al centro il tema di liberare la conoscenza, avanzando, diffondendo e battendosi per proposte concrete con l’obiettivo di porre all’attenzione della classe politica la necessità di una nuova stagione di politiche pubbliche per l’innovazione, uno sviluppo segnato da giustizia sociale e ambientale e la riduzione delle disuguaglianze. Oggi le ha rilanciate all’interno di un Manifesto elaborato da ricercatori e ricercatrici che collaborano con il Forum.

Barca ha poi ricordato che «l’esito della transizione digitale dipende da noi, non è insito nella tecnologia. Se la conoscenza sarà accessibile e diverrà l’alimento di un confronto acceso, aperto e ragionevole, allora potremo costruire un futuro più giusto. Se viceversa l’accesso alla conoscenza sarà sempre più privatizzato a vantaggio di pochi, non solo avremo meno e più cattivo lavoro, ma saranno erose le libertà sostanziali delle persone e la democrazia».

«Il nostro studio mostra che i contribuenti attraverso i governi hanno sovvenzionato con un miliardo di euro ognuno dei 9 vaccini contro il Covid-19 presi in esame. Quando gli Stati investono a rischio più delle imprese, in questo caso 30 miliardi di euro pubblici contro i 16 miliardi di fondi privati, dovrebbero allora anche rivendicare la comproprietà della conoscenza e quindi negoziare condizioni di prezzo e distribuzione nel preminente interesse della giustizia sociale», ha dichiarato Massimo Florio, docente presso l’Università di Milano, illustrando lo studio “Mapping of long-term public and private investments in the development of COVID-19 vaccines”, redatto su richiesta del Parlamento europeo e presentato lo scorso 23 marzo a Bruxelles. «In alternativa dovrebbero commissionare direttamente a imprese pubbliche o istituti non profit la fornitura di beni pubblici come i vaccini e altri prodotti essenziali». Florio ha inoltre ricordato la proposta del ForumDD di prevedere a livello europeo un’infrastruttura per vaccini e farmaci che, come il Cern o l’Agenzia spaziale europea, doti il continente di una politica pubblica per la salute che faccia l’interesse delle persone e non delle imprese private.

Hanno partecipato alla presentazione dello studio sugli investimenti pubblico-privati per lo sviluppo dei vaccini contro il Covid-19, tre europarlamentari. Alessandra Moretti, (Partito Democratico), membro della commissione Ambiente e sanità e relatrice Gruppo S&D della commissione sugli insegnamenti da trarre dalla pandemia, ha ricordato che occorre vincolare i contributi pubblici alle imprese a condizionalità stringenti e a una definizione condivisa dei prezzi che siano equi e compatibili con la sostenibilità della finanza pubblica. Marc Botenga, (Partito del Lavoro del Belgio), anche lui membro della commissione sugli insegnamenti da trarre dalla pandemia, ha messo l’accento sulla possibilità di cambiare rotta attraverso decisioni radicali come quelle che in altri momenti sono state assunte dalle istituzioni europee. Per far sì che questo accada, è necessaria una mobilitazione della società civile per invertire i rapporti di forza all’interno degli organi politici comunitari e dare voce e sostegno a proposte come quella di creare un’infrastruttura pubblica europea per la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci. Infine, Patrizia Toia (Partito Democratico), vicepresidente della commissione Industria, ricerca, energia (Itre) che ha contribuito a promuovere e presentare nell’ambito dello Stoa – Science and technology assessment panel del Parlamento europeo la proposta di creare un’infrastruttura pubblica europea per vaccini e farmaci, ha ribadito il suo pieno sostegno alla stessa, la cui innovazione sta nel pensare al prodotto e ai benefici della ricerca come bene comune.

A seguire, sono intervenuti altri membri del gruppo che hanno presentato in maggior dettaglio le proposte di policy elaborate a partire dalle rispettive linee di ricerca. Ugo Pagano (Università di Siena) si è concentrato su brevetti e proprietà intellettuale: «Al Wto si continua a rimandare l’estensione della moratoria dei brevetti agli strumenti diagnostici per il Covid nonostante il parere favorevole della commissione interministeriale. Particolarmente deludente è la posizione dilatoria dell’Europa. È urgente ampliare il ruolo della scienza aperta liberando la conoscenza da una sua ormai soffocante privatizzazione, imponendo investimenti minimi in ricerca pubblica come condizione per partecipare in modo non opportunistico al commercio internazionale. Occorre inoltre istituire una authority internazionale che possa rapidamente espropriare conoscenze private che impediscono il raggiungimento di obiettivi pubblici o di ulteriore avanzamento della ricerca».

Fulvio Esposito (Università di Camerino), ha ricordato il lavoro del ForumDD sull’impatto sociale delle Università: “Gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, autentica macchina a vapore della rivoluzione tecnologica contemporanea, il cui carburante non è il carbone ma l’accesso e l’utilizzo dei dati, rischiano non solo di far prevalere ma di rendere irreversibile uno scenario di concentrazione della conoscenza e di esacerbazione delle disuguaglianze. In questo contesto, le università, produttrici e serbatoi di conoscenza e di dati, possono e devono esercitare un ruolo centrale per un uso democratico della conoscenza».

Poi si è parlato di politica industriale e di transizione ecologica. «L’Italia è stata molto attiva nelle innovazioni tecnologiche legate alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico, seppur con profonde disparità regionali», ha ricordato Angelica Sbardella (Centro ricerche “Enrico Fermi”), autrice di uno studio che introduce un indicatore che misura la competitività tecnologica verde. «Sebbene mostri quote non elevate di brevetti verdi rispetto alla Germania e alla Francia, l’Italia si specializza in tecnologie molto complesse e si posiziona in modo continuo tra le prime cinque nazioni europee più competitive. Le regioni italiane hanno diversi vantaggi competitivi nelle tecnologie che potrebbero avere un ruolo cruciale per la transizione verde. L’emergenza climatica potrebbe essere l’ultima opportunità per rilanciare una crescita sostenibile dell’economia italiana. Perché accada, le imprese devono tuttavia essere affiancate da una nuova stagione di interventi statali».

Infine, Giulio De Petra (Centro per la riforma dello Stato) ha parlato dell’uso di dati digitali e della necessità di restituirli alle comunità e ai territori per finalità sociali. «L’addestramento dei sistemi applicati al linguaggio è il più recente esempio di come l’enorme quantità di dati generata dalla transizione digitale sia oggi utilizzata quasi esclusivamente dalle grandi aziende tecnologiche. Per restituire questa straordinaria risorsa anche alle comunità e ai territori che l’hanno prodotta è possibile, partendo dalle pratiche esistenti, realizzare infrastrutture che utilizzino i dati pubblici e privati per conseguire utilità sociali. Ad esempio, per sostenere processi deliberativi finalizzati al governo locale o per rafforzare l’azione di contrasto delle disuguaglianze. Chiedendo al Garante dei dati personali di autorizzare l’accesso ai dati dei privati per fini di pubblico interesse».

Qui il Manifesto "Liberare la conoscenza per ridurre le disuguaglianze".

Per rivedere l’intero evento di oggi cliccare qui.


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