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La mia casa dov’è? Chiedono i bimbi di Kharkiv

Elena Mazzola lo scorso febbraio è scappata in Italia da Kharkiv con i minori assistiti dalla ong ucraina Emmaus. Ancora non possono tornare e cercano una casa dove stare tutti insieme. Qui la bellissima testimonianza di Elena e Tanja raccolte nel numero di VITA di febbraio dedicato all'anno dell'aggressione russa dell'Ucraina

di Elena Mazzola

Elena Mazzola è linguista e traduttrice. Dopo aver vissuto 15 anni a Mosca insegnando letteratura e lavorando per l’Istituto di Linguistica dell'Accademia delle Scienze Russa, nel 2017 si trasferisce a Kharkiv dove dirige il Centro di cultura europea Dante e dove diviene presidente di una Ong ucraina, Emmaus, una comunità che si occupa della cura e dell’assistenza a bambini e ragazzi disabili o problematici e agli orfani del conflitto che dal 2014 dilania il Donbass. Elena con la sua comunità è arrivata in Italia qualche settimana prima dell’inizio dell’aggressine russa con un avventuroso viaggio e ora vivono insieme in due palazzine a Milano, zona Bovisa. Vi propongo un estratto di una chiacchierata fatta con lei poche settimane fa su cosa possa significare fare azioni di pacificazione. (R. B.)

Sono sempre stata con gli ucraini, vivo con loro, sono scappata con loro, questo vuol dire un livello di sofferenza personale che qui non si percepisce. Sentire da quasi un anno, ogni giorno, intorno a te la minaccia della morte è cosa pesante per me e pesantissima per i miei amici.

Parlare di pace mentre da oltre 365 giorni bombardano la tua casa sembra assurdo. E chiaro che noi desideriamo la pace: e il desiderio più grande che ho io è che hanno gli amici ucraini con cui vivo. Pace per noi e poter tornare a casa, riprenderci quello che c'è stato strappato da un giorno all'altro con la forza, ritrovare quello che resta di ciò che era la nostra vita. Siamo in guerra, noi viviamo ogni giorno dentro la guerra, quella per cui abbiamo amici al fronte, amici morti combattendo, amici sotto le bombe da mesi, anziani che vivono al freddo e senza elettricità, gente in ospedale che viene bombardata, mentre noi che siamo qui ci sentiamo come in esilio, strappati dalla nostra terra, dai nostri affetti e dal nostro lavoro e non sappiamo se e quando potremmo tornare a casa

Questa estate al Meeting di Rimini sono arrivati amici da Kharkiv e Kherson muovendosi per la prima volta da sotto le bombe, stando con loro abbiamo anche percepito di quanto stia crescendo dentro le persone l’odio, l’odio verso la Russia, verso i russi. Una reazione d’odio l’abbiamo anche noi di fronte alle atrocità, ma sta diventando la nota dominante. Questi amici quando hanno saputo che al Meeting la rappresentante di Emmaus, Natalja Davtjan, una nostra psicoterapeuta, avrebbe parlato in un incontro con quelli dell’associazione russa Memorial (Nobel per la pace 2022), si sono ribellati, non volevano, non ritenevano giusto condividere la scena con dei russi. Dicevano, sappiamo che quelli di Memorial sono bravi ma finché non finisce la guerra con i russi non si parla.

Le persone che ci avevano raggiunto dall’Ucraina sono persone meravigliose, eppure stavano per essere mangiati dall’odio. Dicevano “Noi non possiamo non odiare”. Io rispondevo, vi capisco ma non possiamo non lasciare aperto uno spiraglio, possiamo dire: “adesso non riusciamo a non odiare”, ma dobbiamo capire che se l’odio diventa il nostro orizzonte e se insegneremo a odiare distruggeremo noi stessi e il nostro popolo. E loro “ma i nostri bambini già odiano, già dicono dobbiamo ammazzare tutti i russi”. Ci sono stati dialoghi intensi e di questo tenore in quei giorni sino a che una sera, io non c’ero era presente, una delle mie ragazze Tanja se ne è uscita con una frase che ha stordito tutti. Tanja ha un ritardo mentale non grave e una invalidità fisica anch’essa non grave ed ha questa storia: famiglia umile di Kharkiv mamma e papà e 3 figli di cui 2, Tanja e un fratello non camminavano per una forma di paralisi cerebrale. Quando aveva 5 anni il papà si impicca e lei vede il cadavere del papà trascinato via. Un anno dopo, il nuovo convivente della mamma la uccide nella stessa casa. Dopo di che Tanja va in orfanotrofio e dopo molti anni ci incontra e comincia a vivere con noi. Ora è con noi in Italia, è stupenda e cammina pure grazie alla fisioterapia.

Ecco Tanja partecipa a una di queste discussioni e improvvisamente interviene e dice: “eppure io nell'incontro con Emmaus ho fatto un'esperienza d'amore così grande che sono riuscita a perdonare l'uomo che ha ucciso mia mamma”. Noi non avevamo mai messo a tema questo problema del perdono ai russi, ma lei ha un’esperienza tale che ha capito che non si può essere felici se non perdonando. In Manzoni, a cui ho dedicato un libro (“Manzoni tra Mosca e Kiev”, ed. Scholé), nel dialogo tra Fra Cristoforo e Renzo c’è proprio questa idea, Fra Cristoforo spiega a Renzo che se tu non arrivi a perdonare davvero tu non puoi essere felice, le nozze non si compiono. Quando capisci che sei amato arrivi a perdonare l’imperdonabile.

In quell’incontro difficilissimo, durissimo in cui la nostra Natalja era con i russi del Memorial, alla domanda di cosa augurasse per il suo popolo, ha risposto: “Auguro al mio popolo di essere abbracciato, auguro al mio popolo di fare un’esperienza di amore così grande (aveva raccontato l’episodio di Tanja) da poter un giorno perdonare”. Io ho tanti amici russi, con quelli che fanno discorso tengo il silenzio, con chi ha bisogno li aiuto, magari perché sono scappati, ma niente discorsi. Con gli ucraini andiamo ad accoglierli, ecco gesti non discorsi.

Il tentativo che facciamo ora in Italia Noi stiamo sperando nell'esperienza d'amore che ha fatto Tania, raccontando a tutti di questa possibilità e stiamo facendo memoria ognuno secondo i tratti della sua storia personale, di aver fatto la stessa esperienza di amore che ha fatto Tania: amici che ci hanno dato gratuitamente le loro case, amici che ci portano da mangiare altri che ci aiutano a trovare lavoro., ci sono amici e amici di amici, sconosciuti che ci hanno regalato tempo, cose, soldi e che non siamo neanche riusciti a ringraziare tanto questa carità è stata tra virgolette senza nome o, meglio, attraverso tanti e tanti nomi diceva davanti a tutti un solo nome Gesù. Papa Francesco ci ha detto che “ lo stile di Dio è la vicinanza”. Così capita anche che, mentre oggettivamente la pace non c'è, la pace in noi e tra di noi ci sia.

Penso che l’esperienza di Tanja ci renda responsabili verso tutto il popolo dell’Ucraina, i nostri ragazzi che hanno subito tante violenze possono portare tanto bene, l’Ucraina ha bisogno dei nostri ragazzi.

Elena Mazzola e i suoi ragazzi non possono ancora tornare in Ucraina e non sanno bene quando lo potranno fare, per questo chiedono un aiuto per trovare e pagare una casa in cui posano stare tutti insieme. Qui il video della campagna Per donare cliccate qui


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