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Letizia Battaglia raccontata in un libro attraverso i ricordi di chi la ama

Dopo un anno esatto dalla sua scomparsa, un libro pubblicato su Amazon ricorda Letizia Battaglia attraverso i messaggi di amore di chi l’ha conosciuta. A mantenere la promessa, fatta il giorno del suo funerale, la figlia Shobha insieme alla scrittrice Marilena Monti e all’architetto Marilù Balsamo

di Gilda Sciortino

Che un libro consegni all’eternità una storia, reale o inventata che sia, è certo. Ancor di più lo è quando, a contribuire alla composizione del caleidoscopico mosaico di una vita, sono i ricordi di chi quella vita l’ha amata e ha contribuito a renderla eterna attraverso pensieri, poesie, flash di immagini trasmesse attraverso le parole. Scatti che, nel caso della nostra storia, non sono mai stati più calzanti, dal momento che la vita in questione è quella di Letizia Battaglia, una delle fotoreporter più note e amate nel mondo.

Limitativo un solo termine per raccontarla, ma se proprio volessimo usarne uno quello giusto è "immensa". Immensa è, infatti, uno dei termini che potrebbe descrivere Letizia Battaglia, con la consapevolezza che il tentativo di definire un’anima libera come la sua è arduo e forse impossibile. Si può, per esempio, provare a raccontarla attraverso il ricordo di tutti coloro i quali hanno avuto la fortuna di conoscerla, componendo in tal modo un mosaico di caleidoscopiche emozioni che rimarranno non solo nel cuore di chi le ha vissute, ma anche come patrimonio dell’umanità

Letizia Battaglia è volata via il 13 aprile del 2022, giorno in cui sono stati numerosissimi coloro i quali le hanno portato il loro ultimo saluto nell’atrio di Palazzo delle Aquile, sede del consiglio comunale di Palermo, trasformando quella giornata nell’occasione per aprire uno scrigno pieno di ricordi. Così come promesso dalla figlia Shobha, anche lei fotografa di fama internazionale, a distanza di un anno esatto, quel tesoro di testimonianze è diventato un libro che anche nel titolo, letiziamylove.racconti@… riporta tutto l’amore che la fotografa palermitana più nota e amata nel mondo ha generato.

«In tanti sono venuti da me ad abbracciarmi il giorno in cui mamma ha lasciato il suo corpo – racconta la figlia Shobha, che di Letizia Battaglia ha ereditato uno di quei sorrisi che aprono il cuore, ma anche il grande talento che legge e trasforma in emozione un’immagine -. Ognuno voleva raccontarmi la relazione molto intima avuta con lei, ma per me in quel momento era troppo, non ce la facevo ad accogliere tutti. Ho così chiesto di inviarmi per mail ciò che volevano. Ebbene, sono arrivate tante cose, pensieri, lettere di amore, disegni che abbiamo voluto restituire sotto forma di libro, su Amazon, perché desideravo che fosse goduto da tutti».

Un libro che è una promessa mantenuta per ricordare in maniera corale una donna che, attraverso le sue fotografie, ha espresso il suo amore per la vita. Sino agli ultimi giorni di permanenza sulla terra.

«Grazie alla fotografia – dice ancora Shobha – si è permessa di entrare nell’oscurità dell’anima di questa terra, raccontandola sino in fondo per portarla, consegnarla e avere quei momenti di consapevolezza rispetto a ciò che stava succedendo. Poi, negli ultimi anni della sua vita ha fotografato donne, bambine, mamme incinta nell’acqua, cercando da cittadina, mamma, da sorella, la bellezza che noi tutti dovremmo trovare nel mondo. Sentiva che aveva un bagaglio importante da donare, da non portare con sé. Per questo dico, a chi ha ricevuto in regalo questo bagaglio, di portarlo avanti perché è quello che lei vorrebbe».

Veramente difficile la selezione fatta del materiale arrivato dalle curatrici – Shobha, la scrittrice Marilena Monti e l’architetto Marilù Balsamo (web content editor Agata Katia Lo Coco) – di questa piccola opera di cura della memoria.

Un lavoro durato un anno che ha voluto dare tutto lo spazio alle parole, lasciando nella propria stesura integrale quanto giunto. Nessun taglio, infatti, o rettifica è stato operato: le testimonianze emotive, in quanto tali, sono state pubblicate integralmente.

«Non si può fare alcun lavoro sui ricordi degli altri – sottolineano le curatrici – anche dove ci fossero delle imperfezioni».

«Sono giunte numerose calde le parole. Ciascuna ha tirato fuori la propria signora della fotografia, generosa, ironica, dolcissima e graffiante. Sono giunti racconti, fotogrammi dell'anima – commenta Marilena Monti – ciascuno col proprio linguaggio: dalla sintesi assoluta degli introversi alle dettagliate cartelle di narrazione lunghe e articolata. Ho scelto di pubblicare ciascuna mail nella sua interezza semplici Flash e lunghe Storie di vite. Tutto ha il valore eccezionale di ogni comunicazione dell'anima umana che ha bisogno di raccontare, affinché chi abbiamo amato anche solo per un giorno non debba mai finire».

«Lei è stata per me una presenza costante per oltre 50 anni – scrive Marilù Balsamo – avendola conosciuta da giovane e vissuta fino alla fine. Abbiamo fatto tantissime cose insieme: dall'uso della sua prima macchina fotografica (mi pregio dell'orgoglio di essere stata io a donarle la prima della sua vita, una Minolta) alla cura della Città di Palermo nel periodo del suo impegno politico come assessore comunale, ma soprattutto sono stata tra viaggi e iniziative culturali, tra impegno e allegria, la sua compagna di giochi».

Oltre cinquanta i pensieri raccolti in questo libro reperibile su Amazon, piattaforma scelta per consentire di raggiungere in maniera agile e su larga scala quanti desiderano conoscere un po’ di più di quello che ha lasciato come eredità morale una tra le prime donne fotoreporter italiane che ha raccontato Palermo e la Sicilia con un amore e una passione come pochi.

«Nell'ultimo suo percorso di vita – riporta nella sua testimonianza Giusy Giambertone, presidente della “Tricostarc”, con la quale Letizia Battaglia ha realizzato il suo ultimo lavoro fotografico, il calendario “La Bellezza delle Donne” che ha avuto come protagoniste otto donne malate di cancro – ha voluto regalarmi un veloce lascia passare da quel per quel mondo, il Suo, in cui la realtà non può esistere senza un tocco di bacchetta magica. Dove Lei, maestra nell’imprimere l'Eternità a certi attimi, si opponeva a qualsiasi regola dello spazio e del tempo. È solo attraverso l'essenziale che si arriva alla grandezza e Letizia si limitava a scrutare, penetrando con la fessura dello sguardo, ogni dettaglio oltre l'obiettivo. Bastava solo uno scatto. Quello giusto non poteva avere alcun contendente, lo scatto che sapeva tradurre in immagine l'emozione dell'anima».

«A lei sono legate le mie origini – ricorda lo chef Filippo la Mantia – forse quello che sono e quello che ero stato. Non mi ha quasi mai insegnato nulla. Ma forse non era il caso. Lei c’era, era presente, l’ho vissuta in un periodo dove tutto doveva avvenire e ci univa la consapevolezza di portare a termine qualcosa di indefinito, come i rapporti con la famiglia. La fotografia era il ponte che le permetteva di attraversare burroni profondissimi e molto insidiosi. Ma lei si teneva anche con i denti pur di non cadere e con le sue braccia aiutava gli altri a non precipitare».

«Rimarrà impresso nella mia memoria – pesca nella memoria il pittore Antonio Gaeta – il volto di Letizia Battaglia riconoscibilissimo tra i mille seduti ai tavoli della Vucciria, con la sua sigaretta fumante accompagnata da una gestualità ancestrale suggellata nella mia memoria in quei gesti e in quella situazione. In quella sigaretta rivedevo Sciascia, Guttuso… nei suoi occhi Palermo. In Lei rivedevo la forza di una città sempre pronta a rialzarsi, la sua saggezza millenaria, la leggerezza che la contraddistingue in una placida giornata di sole, tutta la sua integrale e complicata bellezza. Donna Letizia rimarrà nell'aria e nella storia intramontabile di questa meravigliosa Conca aurea e voglio salutarla prendendo in prestito le parole di Hermann Hesse: “Dove si crea un'opera, dove si continua un sogno, si pianta un albero, si partorisce un bimbo, là opera la vita e si è aperta una braccia nell’oscurità del tempo”. Grazie Letizia Battaglia. Con gratitudine».

Ed è con gratitudine che si deve guardare a questo libro, un regalo che Shobha fa a chi ha amato perché l’ha profondamente capita. Proprio per questo manca alla sua Palermo.

«Letizia è un seme – conclude Shobha – facciamola crescere dentro di noi come la bellezza che amava tanto. Letizia appartiene a tutti. Lei ci ha lasciato il suo sogno, voleva una Palermo libera e piena di amore».

Immensa, dicevamo all’inizio, Letizia Battaglia lo è stata e lo dimostra l’amore che sta rinforzando la sua memoria sin dal giorno in cui è scomparsa. Immensa, come la bellezza che risplende nella sua terra, una Sicilia baciata da sole, trasparente come il suo mare, azzurra come il cielo che si rispecchiava nelle maioliche della terrazza di una delle case in cui trascorse un pezzo della vita la fotografa palermitana.

«Di lei voglio ricordare il senso dell'amicizia fuori da ogni retorica – sono le parole dello scrittore Fulvio Abbate -, liberandola anche dalla corona di spine da “Pasionaria” palermitana. Letizia, oltre la leggenda pubblica e perfino il racconto professionale, Letizia che per bisogno, per fuga si “inventa” fotografa. Nel mio primo suo ricordo c'è Palermo, il 1976, un notturno inoltrato sotto i Quattro Canti; Letizia, reflex a tracolla, zoccoli olandesi, i fiori sulla gonna, Letizia bionda. La sua casa di Piazza Marina, Palazzo Galletti, i pranzi in terrazza sotto l'azzurro maiolicato dell'estate, la sua curiosità verso i ragazzi e le ragazze: Letizia vorrebbe tutti felici, liberi, a fare l'amore. Il suo ufficio nel pianterreno in via Meccio, Letizia fotografa de “L’Ora”: il centralino squilla, “… c’è un morto in via Mariano Stabile…”. Letizia corre, le dò uno strappo, il morto è un giudice, Gaetano Costa, vittima di mafia, è il 6 agosto 1980. Per lei ho litigato con Vittorio Sgarbi al “Maurizio Costanzo Show” era il 1990. Sgarbi le rimproverava di avere collocato alla Vucciria, “in una piazza del Cinquecento alcune panchine realizzate da un architetto fighetto milanese, Ettore Sottsass”. Sempre Sgarbi, dopo un attimo aggiunge: “Chi dovrebbe sedersi su quelle panchine, forse i drogati?”. E io: “Veramente non capisco perché i drogati dovrebbero rimanere sempre in piedi”. Resta ancora il ricordo dei nostri giorni trascorsi al “manicomio” di via Pindemonte, le feste, i panettoni, le povere ragazze lì murate, gli abiti di vent'anni prima, struggenti collettini bianchi da educandato. Letizia giunge lì per farle ballare, se ne prende cura, le adotta. Letizia santa laica come Santa Giovanna dei Macelli di Brecht».