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Il fascino della sofferenza: perché i ragazzini maltrattano gli animali?

Ufficialmente sono appena 202 i minorenni denunciati per crimini contro gli animali dal 2015 al 2021, ma un'indagine della Lega Anti Vivisezione dice che il 14,4% del campione ha dichiarato di aver maltrattato un animale almeno una volta. Ma una cultura in cui si sviluppano forme di violenza contro gli animali ha come riferimento un modello di vita basato sulla prevaricazione, l’aggressività sistematica, il disprezzo per le ragioni altrui: ecco perché è urgente intervenire

di Ciro Troiano

Gatti, tartarughe, cani, uccelli, pesciolini rossi: queste le vittime di maltrattamenti e uccisioni ad opera di giovanissimi venute alla ribalta negli ultimi tempi. È stato rilevato un sempre maggiore coinvolgimento di minori in atti violenza sugli animali; atti di violenza che sono spesso accompagnati da immagini che vengono poi diffuse in rete con il pericolo, per nulla residuo, che la violenza assistita amplifichi il rischio di replica e, soprattutto, anestetizzi ogni residuo di empatia. Una geografia della crudeltà che unisce l’intera penisola.

Gesti premeditati, calcolati, da immortalare in un video da condividere sui social, quale viatico per un ego insensibile, da giovani quanto vuote esistenze, alla ricerca di un significato, di un crudele momento di gloria che riempie il loro vuoto. La sofferenza come spettacolo, il dolore altrui come risposta a impulsi distruttivi ma anche come affermazione di un proprio ruolo. Si sa che la cultura in cui si sviluppano forme di violenza contro gli animali ha come riferimento un modello di vita basato sulla prevaricazione, l’aggressività sistematica, il disprezzo per le ragioni altrui.

Non è solo l’indifferenza verso la sofferenza, ma anche la ricerca della sofferenza, la sua sperimentazione, la sua esperienza a guidare gesti simili. Il dolore spettacolarizzato, la morte, madre di tutti i dolori, che viene magnificata con il filmato sul telefonino. Così la sofferenza diventa virtuale. La logica e la razionalità non guidano il cuore umano, anche se possono spiegare gli impulsi umani. Spesso essere vivi non è la stessa cosa che avere una vita da vivere, dotata di significato. E il significato può essere cercato anche nella sofferenza, eccitante diversivo nella propria noiosa esistenza.

Stando alla casistica ufficiale, i reati contro gli animali commessi da minorenni sarebbero pochissimi: in realtà non è così. Dal 2015 fino al 2021, secondo i dati delle 29 Procure presso il Tribunale per i Minorenni presenti nel nostro Paese elaborati per il Rapporto Zoomafia LAV, sono appena 202 i minorenni denunciati per crimini contro gli animali. Un numero insignificante rispetto alle decine di migliaia di adulti denunciati per lo stesso tipo di reati. E tuttavia altri indici ci restituiscono narrazioni completamente diverse, con atti diffusi e una violenza contro gli animali generalizzata e gratuita.

Alcuni anni fa abbiamo svolto un’indagine nella scuola secondaria di primo grado, intervistando 1.500 studenti (750 femmine e 750 maschi), tra gli 11 e i 14 anni, sul tema preadolescenti/adolescenti e maltrattamento di animali. Il 14,4% del campione ha dichiarato di aver maltrattato un animale almeno una volta. Si tratta del 19,1% dei maschi e del 9,7% delle femmine. Il 47,2% di coloro che hanno detto di aver maltrattato animali ha dichiarato di averlo fatto una sola volta. Il 5,3% del campione ha detto di averlo fatto “un paio di volte”. L’1,2% del campione ha risposto: “Sì, diverse volte”. Percentuale poco diversa per coloro che hanno risposto “Sì, lo faccio spesso”: l’1,1% del campione. Il 42,6% ha anche assistito a maltrattamenti di animali da parte di altre persone.

Tra gli 11 e i 14 anni, il 14,4% del campione ha dichiarato di aver maltrattato un animale almeno una volta. Il 42,6% ha assistito a maltrattamenti di animali da parte di altre persone. Il 12,2% ha assistito ad atti di maltrattamento commessi da familiari adulti. Sarebbe interessante sapere qualcosa di più di questi ragazzini; capire dove vivono, qual è il loro contesto familiare, che riferimenti culturali e valoriali hanno

Com’è noto, l’esposizione continua a forme di violenza, anche se solo come spettatori, può portare alla desensibilizzazione nei riguardi della sofferenza altrui e all’assuefazione alla violenza stessa. Risulta, pertanto, molto preoccupante quel 12,2% che ha assistito ad atti di maltrattamento commessi da familiari adulti. La famiglia è un gruppo sociale primario, importate per lo sviluppo equilibrato della personalità e la positiva integrazione sociale futura. Essa, però, può favorire anche l’apprendimento da parte dei più piccoli di valori e modelli antisociali e trasmettere contenuti disonesti, ideologie violente, indifferenza per i valori umani e sociali che rientrano tra i futuri fattori criminogeni, in quanto metodi di educazione sbagliati possono costituire un rischio di delinquenza. Quali valori può apprendere un bambino costretto a partecipare emotivamente, se non materialmente, alla tortura di un animale?

Innanzi a eventi di questa gravità è indispensabile intervenire, e non solo penalmente, ma anche a livello sociale, educativo e psicologico. Sarebbe interessante sapere qualcosa di più di questi ragazzini; capire dove vivono, qual è il loro contesto familiare, che riferimenti culturali e valoriali hanno. La ricerca suggerisce che un bambino violento è esso stesso vittima di violenza e chi subisce maltrattamenti, si sa, prima o poi li restituisce con gli interessi.

Resta ferma, però, l’esigenza di porre dei limiti non solo etici e culturali, ma anche sociali. Non si deve correre il rischio che, finito lo sdegno, il dimenticatoio si riempia. Sarebbe non solo l’ennesima sconfitta ma un gesto dalle conseguenze imprevedibili. «La peggiore cosa che possa succedere ad un bambino è fare del male ad un animale e non subirne conseguenze. La crudeltà contro gli animali uccide il rispetto per la vita», diceva l’antropologa Margaret Mead, già nel lontano 1964. Laddove non arriva la legge possono e devono arrivare le scienze sociali, se non vogliamo creare colture suburbane di bacilli criminali, virulenti come pandemie.

*Ciro Troiano, criminologo, è responsabile dell'Osservatorio Zoomafia della LAV

Foto di Helena Lopes su Pexels


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