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Economia & Impresa sociale 

Il modello di economia solidale che ricompone i saperi

Un Piano Strategico che indica le azioni necessarie per combattere le diseguaglianze economiche, sociali, di riconoscimento, contrastando pure i mutamenti climatici. Si chiama “Domani 2030” ed è frutto del lavoro sviluppato in questi anni dalla “Fondazione di Comunità di Messina”, da poco “Fondazione Me.S.S.In.A.”, dimostrando che uno sviluppo sostenibile sul piano economico, sociale, ambientale, educativo e umano non solo è possibile, ma è anche praticabile

di Gilda Sciortino

Ha indubbiamente un senso, anche se può sembrare improprio, il nome dato al Piano strategico della Fondazione di Comunità di Messina, nata nel 2010 e trasformatasi, il 22 novembre del 2022, in Fondazione delle Comunità del Mediterraneo Sostenibili Solidali per l’Inclusione e l’Accoglienza (Fondazione Me.S.S.In.A,). Domani, 2030, infatti, lo si evince dal suo contenuto, è più che altro un algoritmo evolutivo che sottende a un processo evolutivo che possiede degli innesti, delle reti di relazioni, snodi attorno a cui ruotare.

«Non è, però, deterministico. La nostra è una fondazione erogativa anomala – spiega Gaetano Giunta, che 13 anni fa ha pensato e fatto nascere la Fondazione di Comunità di Messina, divenuta oggi Fondazione MeS.S.In.A. – perché in realtà eroga una policy non risorse per piccoli progetti e gli snodi attorno a cui ruota la policy che la fondazione disegna, sostiene, valuta e modellizza, sono la necessità di contrastare le disuguaglianze economiche, sociali, di riconoscimento, così come i processi di mutamento climatico».

«Transizione verde, digitale, culturale, educativa e demografica a cui deve corrispondere la cura della resilienza sociale, cioè della capacità delle persone di reagire alle grandi transizioni: è il modello di Europa tracciato dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen ed è anche un modello che la Fondazione Me.S.S.In.A già applica, con buon anticipo – ha esordito Francesco Profumo, presidente dell’ACRI, Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio, nel corso della presentazione del volume di 123 pagine in cui la Fondazione descrive e analizza il Piano Strategico che proietta la sua attività nei prossimi anni -. Per me è un punto riferimento per il panorama nazionale e le sue strategie dovrebbero diventare cultura diffusa nel nostro Paese».

Una realtà che, come ha sottolineato il suo segretario generale, Giacomo Pinaffo, «ha costruito un modello concreto e operativo di economia sociale e solidale, strettamente connessa con l’innovazione tecnologica e l’inclusione delle fasce deboli della popolazione».

olicy, quelle della Fondazione Me.S.S.In.A., che hanno l’obiettivo di generare delle metamorfosi sui territori in cui opera e di farlo con la consapevolezza che bisogna trasformare più pezzi delle organizzazioni sociali.

«Il primo pezzo riguarda il sistema della conoscenza. La fondazione si candida a essere, come ha fatto nei primi anni, ma sempre di più in quelli successivi, un luogo di ricomposizione complessa dei saperi – prosegue Giunta -. Al contrario delle abitudini ormai più strutturate a partire dagli anni ’70, i saperi sono specialistici e non comunicanti oppure sono superficiali e, quindi, incapaci di generare trasformazioni. Secondo pezzo? Trasformare, praticando, i paradigmi economici e sociali, provando a sperimentare dei modelli e delle pratiche economico sociali capaci di porre alcuni vincoli esterni alla logica di massimizzazione del profitto, che è l’unico punto del capitalismo, così come lo abbiamo conosciuto nella forma decadente e deteriore, che viviamo in questo periodo. E questi vincoli esterni sono la progressiva espansione delle libertà delle persone più fragili, la costruzione sui territori di capitale e coesione scoiale, la sostenibilità ambientale e la ricostruzione di bellezza. Terzo, trasformare, sostenendo, i paradigmi energetici e tecnologici, restituendo ai processi di cambiamento scientifico e tecnologico anche una finalizzazione etica. Parlo, però, non di un’etica astratta e religiosa, ma di un’etica connessa al fatto che disuguaglianze e mutamento climatico sono due questioni che ormai pongono in maniera urgente il tema del cambiamento radicale».

Un volume, Domani 2030, che è una guida che ci aiuta a capre, attraverso i numeri ma anche e soprattutto i casi concreti di questo modello: il risanamento e la rifunzionalizzazione di 10 aree ambientali e architettoniche/monumentali di grande pregio; lo start up e il consolidamento di oltre 200 imprese e micro-imprese, fra cui alcune rigenerate dai lavoratori, dal caso del Birrificio Messina fino alle Ceramiche Siciliane Pattesi; le collaborazioni con istituti di ricerca nazionali e internazionali e la realizzazione di prototipi, come le comunità energetiche solidali capaci di redistribuire energia secondo algoritmi sociali con l’obiettivo di contrastare la povertà energetica; le oltre 700 persone beneficiarie dirette dei programmi della Fondazione, accompagnate in un percorso che ha garantito loro alternative e possibilità di scelta su casa, socialità, lavoro, conoscenza. Tra queste, coloro che sono stati coinvolti dal programma di riqualificazione urbana Capacity, che ha portato al superamento delle baraccopoli di Fondo Saccà e Fondo Fucile, consentendo a circa 650 persone di andare a vivere in una casa scelta e, a poco meno di metà di esse, in un’abitazione di proprietà, in quella che è stata la più grande operazione di redistribuzione della ricchezza di questa città.

«Da un punto di vista operativo le policy della Fondazione sono ancorate su tre pilastri tra loro interdipendenti, dire meglio interconnessi. Primo: azioni sui sistemi territoriali finalizzati a generare alternative sulle principali aree dei funzionamenti umani, favorendo la transizione ecologica dei territori che noi proviamo a vivere come un’opportunità di sviluppo inclusivo. Secondo: trasformare i sistemi di welfare da assistenziali a personalizzati, accompagnando persone e famiglie a riconoscere le nuove opportunità che vengono generate per potere comprendere, metabolizzare e scegliere quelle che sono più funzionali a vivere la vita che ciascuno vuole vivere. Terzo: aprire i sistemi locali a scambi di conoscenze, know how, risorse umane e anche economiche, verso il mondo esterno, favorendo pure processi di internalizzazione».

Strategica la scelta di non operare solo a Messina, anche se prevalentemente in Sicilia, ma su un cluster di territori sia nella sponda sud sia nella sponda nord del Mediterraneo.

«In tutti questi territori è nata quella che abbiamo chiamato la “Rete dei parchi della bellezza e della scienza” – dice ancore il responsabile del Piano Strategico, ma soprattutto colui che ha pensato e resa la realtà che è oggi la “Fondazione Me.S.S.In.A.” – prodotto di un processo di metamorfosi territoriale. Attorno a queste meraviglie (il Parco Horcynus Orca, il Parco Sociale di Forte Petrazza e il Giardino della Zagare, tutti e tre di Messina; Il Parco dei Saperi di Mirabella, le Querce di Mamre di Salina; la Fabbrica di bioplastiche di Roccavaldina; il Borgo della Bellezza e della Scienza di Novara di Sicilia) ­si annodano sistemi socio-economici; sono luoghi, hub di welfare di comunità che completano l’offerta formativa dei territori, ma soprattutto contribuiscono, a macchia d’olio, a trasformare tutto il territorio attorno. Il primo dei parchi della sponda sud, invece, nascerà a Betlemme, in Cisgiordania o in Palestina a seconda da quale punto di vista lo guardi. Abbiamo già deciso, insieme ai Comuni di Betlemme, di Caltagirone e Mirabella, i partner della sponda nord con cui lavoriamo a Betlemme, le linee direttrici di questa prima iniziativa che partirà operativamente nei prossimi mesi. Tutti i siti nascono da un processo di riqualificazione e di rigenerazione urbana, anche di metamorfosi fisica dei territori, ma sorgono attorno a ipotesi di sviluppo economico sociale differenti che stanno dentro a tutte le cose che abbiamo detto prima».

Ma la comunità accoglie e partecipa attivamente a questi processi?

«Tutte le politiche della Fondazione sono accompagnate da una misura di democrazia partecipativa che sviluppiamo secondo una metodologia introdotta da noi insieme a Reves, la rete europea più importante per la promozione dell’economia sociale nelle città e nelle regioni europee. Abbiamo immaginato che una misura di policy permanentemente aperta da parte nostra possa essere un percorso di democrazia partecipativa finalizzata a rilevare i principi, i valori in cui si riconoscono le comunità locali. Questo per poi far convergere le policy che la fondazione disegna e sostiene in quei territori nei valori in cui si riconoscono le comunità locali, trasformando quindi i processi economico, sociali, culturali che sosteniamo in programmi di coesione sociale. Ciò alla fine vuol dire che le nostre policy sono sempre più intrecciate, non tanto in una logica meccanicistica “bisogno – risposta al bisogno”, ma in una logica evolutiva di sviluppo che parta dai desideri più profondi e dai valori in cui le comunità locali ancora si riconoscono».

Il vostro si può considerare un modello innovativo?

«È certamente un modello innovativo. Gli elementi di replicabilità sono connessi al fatto che bisogna uscire dalla logica atomica tipica del capitalismo finanziario – la singola impresa, la singola organizzazione – e immaginare che l’unica possibilità di costruire delle relazioni socio economiche sia la competizione e che gli equilibri che si generano sui territori siano l’esclusivo esito di competizioni. Quello che noi facciamo in maniera diversa, secondo gli elementi distintivi dei diversi territori – conclude Gaetano Giunta – possono essere logiche simili, ma ripensate a una condizione e cioè che si esca da questa logica individualistica e si entri in un’ottica di cluster di sistemi territoriali. Noi sappiamo quali siano le caratteristiche affinché un sistema territoriale diventi generativo, capace di manifestare autoorganizzazione e di generare una dinamica evolutiva propria che è quello che stiamo provando a fare con il piano strategico. Sistemi che devono essere sufficientemente biodiversi cioè che tengano dentro attori del terzo settore produttivo, attori di imprese profit, che però fanno una scelta profonda e seria di responsabilità sociale e ambientale, organizzazioni culturali di advocacy, attori di ricerca scientifica, attori finanziari. Ci vuole una grande coesione e biodiversità all’interno, devono coesistere sistemi locali aperti agli scambi nazionali e internazionali. Tutte le volte che si verificano queste condizioni sistemiche sui territori così “biodiversi”, ma anche molto aperte, ecco che ci sono i presupposti perché esperienze come quelle di Messina si possono sviluppare anche altrove».