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Migranti, sediamoci ai Tavoli della convivenza

Due giorni di dibattito, a Roma, della Fondazione Nilde Iotti su "L'Italia della convivenza". Lanciata la proposta di creare a livello locale luoghi di confronto «fra amministratori, cittadini, immigrati partecipano su un piano di parità per affrontare problemi e individuare soluzioni, per risolvere conflitti», e per proporre iniziative che facilitino la conoscenza reciproca e il dialogo. La presidente Livia Turco: «Superare le stereotipo del migrante come vittima da accogliere sempre o usurpatore»

di Ilaria Dioguardi

Affrontare con urgenza i temi del diritto di cittadinanza e del diritto di voto amministrativo per chi vive regolarmente da anni sul territorio italiano: è l’obiettivo politico della che Fondazione Nilde Iotti rilancia con la conferenza «L’Italia della Convivenza», ieri e oggi a Roma. Sono proprio i "Tavoli della Convivenza" la misura proposta della presidente, Livia Turco, che dice: «Le politiche e i numeri da soli non bastano, bisogna dare volto e parola all’Italia della convivenza»

La conferenza, dicono alla Fondazione Iotti, «è frutto dell’impegno di due anni di un gruppo di lavoro che volontariamente hanno messo in comune esperienze, conoscenze, militanza, tempo» ed è vista come il risultato dell’alleanza: tra donne (italiane e straniere), tra generazioni di donne e uomini delle prime ondate migratorie e giovani, tra religioni. Prima la pandemia, poi la guerra hanno costretto a rallentare i tempi e a rivedere i tempi delle riflessioni, ad allargare lo sguardo oltre i confini e oltre il privato, avendo sempre in mente il tema della convivenza.

Tavoli a livello locale

La fondazione ha avanzato appunto la proposta dell’istituzione a livello locale, il più vicino cioè ai cittadini, dei Tavoli della Convivenza «ai quali amministratori, cittadini, immigrati partecipano su un piano di parità per affrontare problemi e individuare soluzioni, per risolvere conflitti, per proporre iniziative che facilitino la conoscenza reciproca e il dialogo».

L’idea nasce dal fatto che sono presenti circa sei milioni di immigrati in Italia, «il nostro Paese ha una lunga storia di immigrazione. Ma nel cuore delle persone c’è l’idea che vivere con l’altro, convivere con una persona con un’altra storia e un’altra cultura sia quasi impossibile. Bisogna attuare una politica efficace e attrezzarsi per far capire che insieme si può, che la convivenza è possibile», dice Livia Turco. «Bisogna fare una battaglia culturale che agisca sull’immaginario e sul cuore delle persone e colpire uno stereotipo fortemente radicato dell’immigrato: o la vittima da accogliere sempre o l’usurpatore. Chi è ora al governo usa l’immigrazione per proporre un’idea di società basata sull’idea della preminenza della razza bianca: lo si è visto nella tragedia di Cutro, nei decreti legge, facendoci sentire sempre nell’emergenza. Abbiamo costruito quest’evento partendo da quello che considero un “rimosso” del dibattito pubblico», ha continuato Turco. «Le politiche securitarie e il vocabolario della destra sono espressione di un’idea di società. Se si vuole contrastare quel progetto, la bianchezza, la patria, i fili spinati da cui deriva la disumanità non bastano le politiche e non basta usare i numeri ma bisogna entrare nell’animo delle persone».
La presidente ha sottolineato che «l’immigrato per quello che è, nei fatti e nell’immaginario pubblico non c’è. Per fare politiche efficaci, bisogna introdurre una dimensione finora trascurata: quella della narrazione che parli al sentimento e faccia vedere un altro immigrato, quello vero. Come si può fare? Intanto bisogna esserne consapevoli. Un’Italia della convivenza c’è, solo che nessuno la conosce, è nascosta, è muta. II problema è quello di farla emergere, darle i nomi, i volti. Proponiamo che si faccia una battaglia culturale, lo suggerisco ai sindaci: bisogna costruire degli eventi pubblici, promuovere nella polis il cittadino immigrato».

La fondazione Nilde Iotti si occupa anche di storie e memorie delle donne, ha lavorato molto sui temi delle donne costituenti e sulla memoria di Nilde Iotti. Ha scelto anche dei filoni di attualità, uno dei quali è quello della convivenza tra italiane e immigrate. «Convivenza significa vivere-con, stare insieme, condividere valori fondamentali e una visione di futuro che garantisca a tutti di realizzarsi e avere una vita dignitosa in una società giusta, senza conflitti distruttivi, dove tutti hanno le stesse opportunità», ha spiegato Maria Malagoli Togliatti, psichiatra, presidente onoraria della fondazione e figlia della Iotti e di Palmiro Togliatti.

Secondo generazioni, non migranti

«Mi sento un’attrice protagonista dell’integrazione in questo paese. Sono in Italia da 44 anni, a Capo Verde si erano interrotti i miei studi in Scienze Sociali e sono riuscita a terminarli qui. Le persone della seconda generazione di migranti non sono migranti, è sbagliato definirli così, chiamiamoli cittadini italiani. Hanno tutto da dare, nulla da chiedere. Bisogna fare con noi e non fare per noi», ha sottolineato Maria Josè Mendes Evora, sociologa cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, «sono 30-40 anni che si parla di ius soli, se ci avessero ascoltato non staremmo qui a fare dei Tavoli di Convivenza».
Durante la conferenza sono state molte le riflessioni anche per quanto riguarda la cittadinanza. «Si crea un cortocircuito quando si vive in Italia da decine di anni e non si è ancora cittadini italiani», ha detto Ada Ugo Abara, presidente dell’associazione Arising Africans. «Vorrei occuparmi dei miei studi e invece mi occupo di attivismo. Si parla di ius soli, ius culturae, ius scholae, invece si tratta di passare dalla concessione al diritto, dall’incertezza alla certezza».

La foto di apertura è di Remo Casilli per Agenzia Sintesi


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