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Perché il generale libico Haftar, accusato di crimini di guerra, va a Palazzo Chigi?

Arrivato a Roma ha incontrato il ministro degli esteri Tajani e la premier Giorgia Meloni. Ma perché? E perché questi incontri suscitano polemiche? Lo abbiamo chiesto a Nello Scavo, inviato di Avvenire e autore di “Libyagate”

di Anna Spena

Il generale libico Khalifa Belqasim Haftar è arrivato a Roma e ha incontrato il ministro degli esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani e, successivamente, anche la premier Giorgia Meloni durante un colloquio di due ore. Haftar, conosciuto come “l’uomo forte” della Cirenaica, qualche mese fa ha stretto un accordo con il premier di Tripoli Abdelhamid Dbeibah, ed è così tornato ad essere un interlocutore decisivo in Libia.

Il generale giudicato responsabile di crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante la seconda guerra civile libica (2019-2020), guerra che lui stesso aveva alimentato, viene incontrato a Palazzo Chigi. Ma perché? E perchè questi incontri sucitano polemiche? Lo abbiamo chiesto a Nello Scavo, giornalista del quotidiano Avvenire e scrittore. Scavo conosce profondamente le dinamiche interne del Paese ed è autore, tra gli altri, del libro “Libyagate – Inchieste, dossier, ombre e silenzi”, edito da Vita e Pensiero. Un’inchiesta che porta alla luce il dramma libico, una vera e propria fabbrica della tortura, dove si vive in un solo modo, inumano e degradante, e si muore in molti modi diversi.

Ricordiamo che lo scorso 2 febbraio si è rinnovato per altri tre anni il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia. Memorandum firmato per la prima volta nel 2017 dall’allora primo ministro, Paolo Gentiloni, e dall’allora presidente del consiglio presidenziale della Libia, Fayez Mustafa Serraj. Con il memorandum l’Italia si è impegnata a fornire mezzi, strumentazione, supporto tecnico e formazione alle autorità libiche preposte al controllo delle frontiere marittime e terrestri per aumentare la loro capacità di presidiare, intercettare e respingere i migranti in viaggio, in particolare verso le coste italiane. Tra il 2017 e la fine del 2022, sono state centomila le persone intercettate e riportate in Libia, molte delle quali sono state recluse in centri di detenzione controllati dalle varie milizie in lotta nel Paese, subendo sequestri, torture e violenze.

«Non è la prima volta che gli esponenti del governo italiano incontrano Haftar», spiega Scavo. «Giuseppe Conte e Luigi di Maio, allora rispettivamente premier e ministro degli esteri, erano volati a Bengasi a seguito della liberazione dei due pescatori di Mazara del Vallo dopo 108 giorni di prigionia. Arrestati perché accusati dalle autorità libiche di aver violato le acque internazionali. Ma i pescatori siciliani erano stati presi in ostaggio per negoziare su altre partite». La Libia oggi è sinonimo di violenze, stupri, riduzione in schiavitù e omicidi. «Il fatto che Haftar arrivi in Italia», continua Scavo, «dal punto di vista geopolitico significa più cose insieme. Innanzitutto Haftar è più disponibile a cooperare con i partner istituzionali in una ipotetica stabilizzazione della Libia». E anche la premier avrebbe ribadito il sostegno italiano all'azione delle Nazioni Unite in Libia per la rivitalizzazione di un processo politico che possa portare a elezioni presidenziali e parlamentari entro la fine del 2023. «Poi non sappiamo quale sia stato il vero oggetto dell’incontro, ma credo che il tema idrocarburi sia stato centrale. Sentiamo parlare di un nuovo piano Mattei (il progetto del governo per diventare hub energetico del Mediterraneo tra Etiopia, Algeria, Libia e Azerbaigian ndr) e di investimenti in Libia per 8 miliardi di euro. Ecco 8 miliardi di euro per un Paese come la Libia sono una cifra strepitosa, e adesso in tanti vogliono sedersi attorno al tavolo dove ci sarà la spartizione della torta. La Libia e la regione della Cirenaica sono piene di risorse di gas. E se l’Italia intende affrancarsi dalla Russia dal punto di vista energetico, Haftar, che governa sulla Cirenaica, per il governo si configura come un interlocutore necessario».

La Libia adesso è il secondo Paese di partenza, dei migranti che arrivano via mar mediterraneo centrale. Più della metà degli arrivi dalla Libia ora parte dalla Cirenaica. Quindi viene da chiedersi, ma un Memorandum per limitare l’arrivo delle persone e costringerle in condizioni disumane, tenerle prigioniere, non è già abbastanza? «Quella dei migranti è una questione complessa», spiega Scavo. «Come tutte le faccende che riguardano la Libia d’altronde. Le milizie libiche, che hanno incassato soldi e legittimazione politica dai partner europei, hanno volontariamente spostato il flusso migratorio sulla Tunisia. “Ci avete pagato per non far partire le persone dalle nostre coste? Ecco dalle nostre coste i migranti non partono più”, o almeno ne partono di meno. Ma è stato un “trasloco” da un Paese all’altro. La verità è che i migranti sono utilizzati come merce di scambio e le loro vite considerate vuote a perdere. In questa guerra non dichiarata i migranti sono carne da cannone. E di questo non ci stupiamo. Quando siamo davanti a un governo che ha fatto del fenomeno immigrazione un’arma di distrazione di massa, e che prima che fosse eletto ha promesso che avrebbe fermato il flusso migratorio, quando invece adesso gli sbarchi stanno tornando ai massimi storici, cerchi di scendere a patti con chi quei flussi può provare a bloccarli».

In Libyagate, il libro di Scavo, si denuncia una rete internazionale che dalla Libia arriva in Europa attraverso Malta e l’Italia, con la connivenza di faccendieri e politici e sotto il grande ombrello delle organizzazioni mafiose. Nel libro ci sono mesi di lavoro, interviste, consultazione di migliaia di documenti, inchieste sul campo, analisi dei dati. «Abbiamo mandato milioni di euro nel Paese per acquistare attrezzature, scuolabus, e altro. Tutta strumentazione che in Libia nessuno ha mai visto arrivare. È stata però equipaggiata la guardia costiera libica, il caso più clamoroso è quello di Bija…».

Abd al-Rahaman al-Milad, conosciuto come Bija appunto, maggiore della marina libica, è stato accusato di essere un signore della guerra tra i principali boss del traffico di esseri umani. Nel 2018 il Consiglio di sicurezza ha ordinato il congelamento dei suoi beni e decretato il divieto d’espatrio. E proprio Scavo, nell’ottobre 2019, è stato sotto tutela della polizia, un provvedimento scattato dopo le minacce ricevute per aver condotto un'inchiesta sul traffico di esseri umani dalla Libia portandolo allo scoperto. «Ma ancora traffico di armi, stupefacenti, tracce di petrolio di contrabbando libico trovate a Mazara nei depositi del boss Matteo Messina Denaro. Gli essere umani vengono usati come schermo per tutte queste altre questioni».


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