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Ucraina, così salviamo i cani dalle bombe

I volontari della Lega anti visezione - Lav raccontano le loro diverse missioni nel Paese invaso, per salvare gli animali domestici e anche selvatici custoditi in centri di realtà di volontariato. Un intervento di aiuto sul posto e, quando necessario, la messa al sicuro negli Stati confinanti o in Italia, come è stato per 46 cani, condotti nei nostri confini dall'Unità di crisi dell'associazione. E non è mancata l'assistenza ai profughi che arrivano con i loro amici stremati dal viaggio e dalle sue durezze. La prossima missione per gli orsi del White Rock Shelter di Kiev

di Redazione

Ventidue ore in automobile dal confine polacco con l’Ucraina a Milano, con un cucciolo di cane sul sedile davanti (perché era la più piccola, i più grandi erano dietro), spinto dalla determinazione e dal desiderio di dare una speranza a Bucha, questo il suo nome, e di salvarla dall’orrore della guerra in Ucraina. Bucha era una delle prime dieci creature protagoniste delle missioni organizzate dalla Lega anti vivisezione – Lav: dall’inizio delle ostilità saranno 36 gli amici a quattro zampe che la Lav grazie alla sua unità di crisi ha strappato alla malnutrizione, alla malattia e alla solitudine.

Alla guida dell’automobile c’era Andrea Morabito, 34 anni, volontario della Lav e video reporter. «Sì, sono stati 46 i cani che abbiamo portato in Italia. Ma il nostro intervento sul posto ha permesso a molti altri animali di ricevere cibo e cure». Da un momento all’altro, ha raccontato Andrea a proposito della situazione in Ucraina, si entra in una realtà distorta, ma bisogna mantenere la lucidità”. Andrea ci ha detto della «disperazione delle persone che uscivano con gli animali», ma anche del desiderio di aiutarsi l’uno con l’altro. “L’importanza di quello che facciamo la leggiamo nello sguardo delle persone che aiutiamo e che hanno gli animali”. Una volta arrivata in Italia, Bucha è stata adottata. «Abbiamo seguito tutto il suo percorso. Certo, separarsi è stato doloroso». A consolare Andrea la consapevolezza che «stava in mani sicure». Ma per una storia a lieto fine, ci sono tanti animali «abbandonati in Ucraina, lasciati allo sbando, disorientati e alla ricerca di punti di riferimento e dei loro compagni umani».

In soccorso degli animali domestici e non

Le riprese di Andrea sono state un po’ il filo rosso che ha tenuto insieme un incontro organizzato dalla Lav per fare il punto sulle missioni umanitarie in Ucraina ad un anno e mezzo dallo scoppio della guerra. «Il nostro obiettivo», ha spiegato Gianluca Felicetti, presidente dell’associazione, «è rendere questo mondo migliore per tutti e dare dignità, libertà e vita agli animali. Non vogliamo dimenticare», ha aggiunto, «né abituarci alla tragedia di quella guerra, così come di tutti gli altri conflitti decisi dagli esseri umani. Una battaglia che in queste settimane ha visto protagonisti anche gli orsi in Trentino». La Lega antivisezione in particolare ha schierato in Ucraina la sua unità di emergenza con l’obiettivo di aiutare non solo gli animali domestici, ma anche quelli selvatici, in enormi difficoltà perché rimasti abbandonati negli zoo o nei circhi.

Così è nata l’unità di emergenza

Nessuno era pronto ad una guerra in Europa. All’inizio i volontari della Lega avevano progettato di intervenire e sostenere le persone che arrivavano in Italia con i loro animali. Prendendo sempre più contatti con l’Ucraina, si è però creata una rete di contatto con i volontari locali che riportavano una situazione drammatica e al contempo una grande voglia di salvare i loro animali. I volontari dell’associazione raccontano di essere entrati in contatto con un canile di Kiev «messo molto male». Da qui l’intervento sul posto e i primi 36 cani portati in salvo.

Il White Rock Shelter di Kiev

Una giornata insomma per fare il punto e dare voce poi a chi in quelle ciotole ci ha messo il cuore: i volontari dell’associazione. In quel viaggio verso Milano accanto ad Andrea c’era anche Beatrice Rezzaghi, responsabile dell’unità di crisi della Lav (guarda la sua intervista su Instagram). «Per la prima volta gli animali sono vittime della guerra. Per la prima volta ci siamo resi conto che gli animali soffrono in questi contesti», ha spiegato Beatrice. Una consapevolezza che è stato un po’ il punto di partenza di un impegno che si è concretizzato anche nell’aiuto al White Rock Shelter di Kiev, «un rifugio, una realtà che ci ha stupito per la loro storia, che dava sostegno a lupi e orsi, utilizzati per l’intrattenimento, spesso maltrattati e abbandonati, una volta diventati adulti». Il riparo è posizionato tra l’aeroporto e l’autostrada di Kiev. «Uno dei posti più pericolosi della zona, soprattutto nella fase iniziale della guerra». A gestirlo Marina e altri volontari. «Hanno deciso di non abbandonare il rifugio, ma quando li abbiamo conosciuti ci hanno subito confidato le grandi difficoltà che avevano. Loro, come noi, sono una onlus, vivono di solidarietà e donazioni: fondi che con lo scoppio della guerra sono scomparsi. Insomma non ce la facevano a sostenere animali, che spesso hanno problemi di salute. Abbiamo deciso così», ha continuato Beatrice, «di impegnarci non solo in iniziative emergenziali ma di impegnarci per tutto 2023 per far sì che alla fine del conflitto si ritrovassero più forti e capaci di prima». Tra le soluzioni, la Lav ha progettato e realizzato grazie al sostegno dei donatori un container per stoccare il cibo e contestualmente di evitare gli spostamenti «molto pericolosi. Il container è stato consegnato a fine gennaio».

Animalisti sotto le bombe

In collegamento da Kiev, Marina ha raccontato quanto la guerra abbia impattato sul White Rock Shelter. Una vita scandita dalla paura. «La situazione è sempre pericolosa. Venti minuti fa c’è stato un raid aereo». Paura sì, ma anche la determinazione di garantire la sopravvivenza del progetto. Avanti quindi con l’evacuazione degli orsi in Germania e Polonia, quando la situazione si era fatta insostenibile. Salvo poi recuperare le creature e magari aiutare altre associazioni. «Abbiamo appena adottato un orso tibetano, tenuta in cattività in una casa privata distrutta. Ora, dopo la riabilitazione, è felice. Di recente si è aggiunto alla nostra famiglia un lupo grigio, salvato al confine con la Bielorussia. L’hanno portato da noi e al momento è in quarantena per i controlli veterinari. La speranza è portarlo in un santuario europeo». Intanto, mentre Marina si racconta, dietro di lei gioca e corre un orso grigio. «È stato salvato nel 2018, era un animale da circo, viveva in una gabbia piccolissima. Stava male e soffriva di cuore. Ora sta meglio e la prossima settimana ha in programma le visite veterinarie. Ci piace tanto vederlo lontano dalla sua gabbia di circo».

Quel giorno con 46 cani sul confine ungherese

Le storie dei volontari dell’unità di emergenza della Lav incrociano non solo gli orrori della guerra ma anche pastoie burocratiche, diffidenze nei confronti di una ong che si occupa di animali e perfino la paura dei paesi confinanti con l’Ucraina di aprire le porte a cani non vaccinati. Daniela Buresta, assistente di direzione della Lega e volontaria dell’unità di emergenza, è stata tra i protagonisti di un vero e proprio salvataggio: è stato anche grazie a lei che sono arrivati in Italia. Era il 6 marzo 2022 e il gruppo era bloccato con 46 cani alla frontiera con l’Ungheria. Non li facevano passare perché i cani non avevano i documenti in regola. In Slovacchia, con i cani in viaggio da una settimana, riescono a trovare una dogana che ha capito la situazione: non c’era più nessuno che poteva occuparsi di loro. Sarebbero morti di stenti. «Muovere un cane senza documenti è complicatissimo», ha raccontato Daniela, «alla frontiera abbiamo parlato con un veterinario e lì è partito l’iter burocratico per la quarantena: gli animali hanno potuto fare tutti i vaccini, conquistando il diritto di essere liberi e di avere un’opportunità. Non ci sentiamo eroi», ha sottolineato, «riconosciamo a tutti gli animali il titolo di soggetti e abbiamo fatto il massimo nelle nostre possibilità per garantire la liberazione da quella grande sofferenza. Ecco quei 36 sono un simbolo. Ora in Italia hanno trovato un percorso di recupero e una famiglia».

Alona, in fuga con Winston

Già, ma cosa è successo ai cani che portati in Italia dalla Lav? A Milano Vita da cani ne ha presi in cura 17. «Solo quattro non hanno ancora trovato una famiglia», ha sottolineato Sara D’Angelo, presidente e fondatrice dell’associazione, «tra loro c’è anche Floyd, che insieme ai volontari sta facendo un percorso per superare alcune diffidenze. Pink poi ha appena trovato casa, mentre Isabeau, che ha circa 8 anni, ha avuto problemi di salute, ma ora sta bene ed è una super coccolona». Alla Lav hanno anche mantenuto l’impegno per sostenere le famiglie ucraine arrivate in Italia. Fra queste c’è Natalia, arrivata in Italia nel 2014, raggiunta dalla figlia Alona dopo lo scoppio della guerra. Winston, il cagnolino di Alona, aveva bisogno di un intervento complesso. «Alona»,ha raccontato Natalia, «è venuta in Italia dopo un viaggio di 5 giorni. Winston era molto stanco e respirava male. C’era qualcosa che non andava. Doveva essere operato, ma i costi erano troppo alti. Alona era venuta senza soldi, solo con uno zaino e un paio di jeans. Sono entrata in contatto con la Lav e Beatrice, che hanno trovato una clinica per Winston. Ora posso dire che la Lav ha salvato il nostro cane».


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