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Volontariato & Istat: i volontari non sono più “proprietà esclusiva” di un’associazione

Al 31 dicembre 2021 i volontari sono in calo del 15,7% rispetto al dato del 2015 ha sentenziato ieri l’Istat. Cosa è successo, come leggere e motivare questo dato? Una ricerca sulla Toscana aiuta a porsi le domande giuste e a riflettere sui cambiamenti che neppure le statistiche ancora intercettano

di Riccardo Bonacina

Al 31 dicembre 2021 i volontari sono in calo del 15,7% rispetto al dato del 2015 ha sentenziato ieri l’Istat (qui la news). Sulle cause possibili di un dato che ha impressionato tutti si sono giustamente soffermati Paolo Venturi e Flaviano Zandonai (qui il commento) che hanno sottolineato “la struttura demografica del Paese che comincia a scaricare i suoi effetti anche in questo ambito; le crescenti disuguaglianze che tendono ad assottigliare quegli strati sociali che storicamente rappresentano (o rappresentavano) il principale bacino di impegno volontario (per disponibilità di tempo, sicurezza economica, bagaglio culturale); la disintermediazione dall’impegno e dalle cause sociali che hanno sempre meno bisogno di luoghi e organizzazioni formali anche perché fanno uso di risorse digitali.” L’indagine Istat probabilmente non intercetta il volontariato temporaneo e individuale che nel 2020 con coda nel 2021 (anno della rilevazione) ha conosciuto un vero boom.

Sul tema è davvero interessante la ricerca (in modalità CATI nel periodo 30 giugno – 8 luglio 2022 su un campione casuale di cittadini toscani tra i 18 e i 70 anni non attivi in organizzazioni del terzo settore), curata da Andrea Salvini e promossa dal Cesvot e Regione Toscana, dedicata al segmento, finora pochissimo analizzato, dei “volontari potenziali” (qui la ricerca), perché se sappiamo tutto o quasi dei volontari attivi grazie alle statistiche periodiche dell’Istat poco sappiamo del segmento di chi vorrebbe fare volontariato ma non ha avuto tempo o occasione di praticarlo.

Un percorso di ricerca e un focus (dedicato alla Toscana) reso ancor più urgente alla luce dei cambiamenti che l’anno e mezzo pandemico ha innescato nelle pratiche del volontariato, nell’organizzazione e anche nella sua composizione ormai sempre più a geometrie variabili. Proprio negli anni del Covid qualcosa è cambiato nella propensione a fare volontariato, l’emergenza e lo stato di assoluta eccezione hanno messo in moto cambiamenti che seppur non intercettati da Istat non possono restare solo a livello di percezione e perciò, ricercare con gli strumenti dell’indagine sociologica e statistica è necessario, soprattutto su un tema così capitale perché come sottolinea la ricerca: “L’interesse verso i volontari “potenziali” è destinato probabilmente a crescere nei prossimi anni, a causa delle difficoltà che gli Enti di Terzo Settore stanno incontrando nei processi di coinvolgimento, “reclutamento” e “fidelizzazione” di nuovi volontari, soprattutto giovani”.

La ricerca ci consegna questi dati interessanti: la quota di “volontari potenziali” è pari al 20,8% ma solo il 7,1% si dichiara disponibile “senza condizioni” e dunque “pronta” – se adeguatamente “intercettata” – a operare all’interno di un Ente di Terzo settore”. Il passaggio da uno status di “volontari in potenza” ad uno di “volontari effettivi” necessita, infatti, di un percorso di riflessione e di verifica, da parte dei cittadini, delle concrete circostanze favorevoli che conducono a fare una scelta così importante, che modifica in modo significativo gli assetti della propria vita quotidiana. Dice la ricerca: “Molti dei volontari potenziali che abbiamo identificato quantitativamente sono destinati a restare tali, per ragioni che in parte riguardano il proprio contesto di vita, in parte la capacità delle organizzazioni di accogliere al proprio interno i nuovi volontari, valorizzandone le caratteristiche personali, assecondandone le esigenze di compatibilità con altri aspetti che sono altrettanto rilevanti, come la famiglia, il lavoro, lo studio”.

Nonostante l’idea di fare volontariato, ci dice l’indagine, continui a trovare la sua espressione più consona all’interno di una dimensione associata e organizzata: “Il numero di persone che svolge attività di volontariato in altre forme, prevalentemente non organizzate in ETS, ammonta al 5,9% dei rispondenti, una quota di cui non conosciamo la dinamica nel tempo, in assenza di rilevazioni pregresse. Se consideriamo che quasi il 37% dei rispondenti, posti di fronte all’ipotesi di un loro futuro impegno volontario, dichiarano di preferire una modalità non strutturata di coinvolgimento, possiamo cautamente immaginare che quel 5,9% sia destinato a consolidarsi e ad accrescersi nei tempi futuri. In altri termini, in proiezione futura è possibile ipotizzare che il volontariato nelle organizzazioni costituisca ancora una opzione rilevante per i cittadini, ma che, nel contempo, possa parallelamente accrescersi un fenomeno di graduale de- strutturazione dell’impegno volontario, in modalità relativamente nuove, come per esempio il coinvolgimento in reti di cittadini non formalizzate, ma comunque effettive sul piano delle attività verso il territorio e rilevanti sul piano della soddisfazione soggettiva”.

Per le organizzazioni di Terzo settore, quindi si tratta di capire che oggi i volontari non sono più tali nella misura in cui essi “fanno propri” i valori, le caratteristiche e, soprattutto, le esigenze dell’organizzazione. Al contrario, in prospettiva futura, le organizzazioni dovranno operare per rendere più flessibili i meccanismi di gestione interna, di strutturazione delle attività – in coerenza con le esigenze mutevoli dei volontari stessi trovando meccanismi di coinvolgimento tanto intensi quanto mobili.

Ad esempio, il volontariato di domani deve per questo necessariamente contribuire al recupero di una posizione da protagonista nella sfera pubblica e assumere una funzione politica, intesa non solo come partecipazione al bene comune ma anche come capacità di anticipare i problemi, di agire in prospettiva, di dare voce a chi non ne ha. Il volontariato ha, infatti, già gli strumenti e le possibilità per agire un’azione culturale e una funzione di advocacy in grado di proporre una sfida culturale e politica in cui coinvolgere i potenziali volontari non solo nella dimensione del “fare”.

Il virus ha evidenziato le ingiustizie strutturali della nostra società. Il volontariato ha il compito, insieme alle istituzioni, di allestire spazi di responsabilità aperti a tutti perché si possano superare le diseguaglianze e i cittadini possano tornare a sentirsi parte attiva di una comunità coesa.

La sfida di un volontariato che recuperi tutta la sua attrattività è quella di riaccendere nei territori la “scintilla della passione per il possibile”, raccontando il futuro, il mondo che sarà possibile costruire e condividere così un sogno da perseguire insieme.

In secondo luogo, occorre riconsiderare Il volontariato come uno spazio che offre, in particolare ai giovani, la possibilità di agire esperienze talvolta limitate nel tempo ma che producono cambiamenti sul sentimento di cittadinanza e di conseguenza sulle comunità. Assume così un ruolo nelle vite di queste persone, educandole ad impegnarsi a favore della collettività. Il volontariato deve portare avanti con consapevolezza il ruolo educativo insito nel proprio agire, nei confronti della cittadinanza e dei giovani, impegnandosi però nel ragionare sulle modalità di reclutamento e andando incontro a forme più flessibili.

La terza direzione di cambiamento possibile, per favorire il ricambio dei volontari e l’attrazione dei volontari potenziali, è quella di riavvicinarsi ai territori. Dopo l’anno e mezzo di “distanziamento”, è essenziale recuperare il rapporto con i luoghi, perché è lì che si trovano le persone. Luoghi che vanno abitati di connessioni e contaminazioni, immaginando nuove forme dello stare insieme. Luoghi in cui sia possibile sentirsi riconosciuti e riconoscersi, in cui trovare persone credibili, a cui potersi affidare e consegnare fiducia. Promuovendo luoghi di prossimità e nuova appartenenza.

Le azioni dei volontari devono sempre più farsi prossime alla vita dei cittadini e alla loro quotidianità, nello spazio e nel tempo. Le relazioni sono la chiave per costruire il volontariato di domani: relazioni fatte di prossimità, di solidarietà inclusiva, di uguaglianza e giustizia. La linea guida deve essere quindi quella di fare piccole cose, in prossimità delle persone là dove sono, e farle insieme.

Solo così, io credo, le nuove energie, attivate per rispondere alla pandemia, non devono andare disperse. La crisi pandemica in cui siamo ancora immersi ha rinnovato la capacità di immaginare, di desiderare, di andare oltre i propri limiti. Il volontariato dovrà essere capace di interiorizzare queste esperienze, imparando ad andare oltre la propria identità istituzionale per promuovere una dinamica contributiva intorno a cui costruire una nuova sostenibilità per le comunità. E potrà farlo solo individuando nuove avventure da proporre, nuovi pensieri da condividere, nuove domande a cui rispondere insieme che incarnino i valori su cui si fonda.

Consapevoli del fatto che i volontari non sono più “proprietà esclusiva” di un’associazione. Ma migrano da un’organizzazione all’altra e sostengono più cause insieme. Spesso si muovono in maniera indipendente. Il volontariato non può essere esclusivo. Al contrario dobbiamo accettare il fatto che chi si impegna nel volontariato può migrare da un’associazione all’altra e che le cause che si sposano possono essere, nel tempo, diverse. Il volontario non è “proprietà” dell’organizzazione ma temporaneamente si presta alla causa. E magari sfugge pure alle indagini Istat.


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