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Figli con disabilità e quel desiderio di essere solo madri

Se hai un figlio con disabilità a volte vorresti essere "soltanto" una mamma e poter guardare tuo figlio "soltanto" come un bambino. Perché i bisogni sanitari invece ti spingono con urgenza ad essere prima di tutto altro: infermiera, dottoressa, maestra... Alessandra, che medico lo è davvero, solo alla Lega del Filo d'Oro ha preso il coraggio di addormentare la sua piccola Letizia cullandola e canticchiando, come tutte le mamme. Ed è cambiato tutto

di Sabina Pignataro

«Sei paranoica»: così replicavano ad Alessandra quando lei ha iniziato a dire che suo figlio Matteo aveva qualcosa di strano. «Il bambino non ha nulla che non va. Ha solo bisogno di compagnia, signora», dicevano. E così, racconta Alessandra, «anche se io avevo già scorto in lui l’ombra di alcuni tratti autistici, è arrivata una sorellina, Letizia». Quella nascita tanto desiderata, però, ha portato con sé uno tsunami: la piccola infatti non sente e non vede. È Alessandra, ancora una volta, da mamma e da medico, a mettere in fila i segnali e a pronunciare per prima il nome della malattia di sua figlia: «Mi dicevano che era troppo graziosa, che non poteva essere una “bambina Charge”. Invece avevo ragione io».

La sindrome di Charge è una malattia genetica rara che colpisce circa un bambino su 10mila nuovi nati. Il termine mette in fila le iniziali in inglese delle caratteristiche cliniche con cui si manifesta la sindrome: coloboma (una malformazione dell’occhio, presente fin dalla nascita); anomalie cardiache (heart); atresia delle coane nasali; ritardo di crescita e dello sviluppo; anomalie dei genitali e/o urinarie; anomalie dell’orecchio (ear). Per questa complessità, i bambini affetti da Charge devono essere seguiti sin dalla nascita con un approccio multidisciplinare, proprio come fa la Lega del Filo d’Oro.

Quasi contemporaneamente arriva la diagnosi anche per Matteo, il figlio maggiore: è un bimbo Asperger, con comportamenti riconducibili allo spettro autistico. Ed è come uno schianto contro un muro a 300 km orari. È burrasca, tempesta ed uragano tutto insieme. È l’inizio di un nuovo viaggio. «La nostra coppia scoppia, mio marito si allontana e io mi ritrovo sola, con due bambini piccoli, bisognosi di cure e attenzioni», ricorda mamma Alessandra.

Quando Letizia compie un anno, viene sottoposta all’intervento per l’impianto cocleare: l’intervento va bene, ma la piccola rifiuta il contatto uditivo, non risponde, non si gira. Due mesi dopo mamma e figlia arrivano a Osimo, al Centro Diagnostico della Lega del Filo d’Oro, per il primo trattamento di Letizia. Il cuore di Alessandra è colmo di speranza. Era il gennaio 2020 e la pandemia stava per travolgerci. «Quando siamo arrivati ad Osimo, Letizia non stava seduta, non gattonava, non strisciava. Trascorreva le sue giornate prona o supina, in silenzio. L’intervento di quelle tre settimane è stato così significativo che quando siamo tornati a casa mia figlia era capace non solo di gattonare ma anche di alzarsi in piedi reggendosi ai supporti…. Lì io ho ricominciato a respirare».

Quando siamo arrivati ad Osimo, Letizia non stava seduta, non gattonava, non strisciava. Trascorreva le sue giornate prona o supina, in silenzio. Dopo tre settimane alla Lega del Filo d'Oro, mia figlia era capace non solo di gattonare ma anche di alzarsi in piedi reggendosi ai supporti…. Lì io ho ricominciato a respirare

Alessandra, mamma di Letizia

Comunicare, invece, restava un punto debole. «Letizia non indicava gli oggetti, non aveva un accenno di lallazione, non riusciva in alcun modo ad esprimersi». A dicembre 2021, venti mesi dopo il primo trattamento, Letizia e la mamma tornano alla “Lega”, per concentrarsi proprio sulla comunicazione. «Con l’aiuto dei terapisti, abbiamo imparato entrambe ad usare i pittogrammi: ora li utilizziamo per indicare le attività da compiere e per scandire la routine quotidiana», racconta la mamma. «Letizia ha risposto molto bene. Una volta a casa, ho iniziato a fotografare qualsiasi cosa e ad appiccicare le foto con il velcro su una lavagna gigante, in modo che Letizia – che nel frattempo ha iniziato a camminare – le potesse usare per comunicare».

Finalmente così tra mamma e figlia nasce una relazione: «Certo, era una relazione in cui lei si limitava a fare richieste: mi chiedeva di fare qualcosa, di portarle un oggetto, di prepararle un piatto, di andare sull’altalena, ma si trattava pur sempre di aver aperto un primo canale». In questo dialogo, c’è un momento speciale: «La musicoterapista mi ha insegnato come addormentare Letizia tenendola in braccio, dondolandola e canticchiando». In pratica, sussurra Alessandra, «mi ha fatto sentire come una mamma e non come una dottoressa che cura un paziente».

Mi ha fatto sentire come una mamma e non come una dottoressa che cura un paziente

Alessandra, mamma di Letizia

Nel frattempo, il papà è tornato a casa: «È stato un arcobaleno dopo la tempesta. Bellissimo per me, ovviamente; per Letizia che ha imparato a giocare con il padre, trovando in lui nuovi stimoli; e anche per lui, che ha acquisito più coraggio rispetto a quei primi tempi in cui si era sentito impotente e impaurito davanti alla malattia di nostra figlia».


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