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Famiglia & Minori

Io, madre in prima linea contro lo stigma

Natalia Barillari, presidente dell'associazione Libellula Afasp, ha iniziato il suo percorso come attivista nell'ambito della salute mentale dopo le difficoltà del figlio, impegnandosi per aiutare le altre famiglie lottando contro i pregiudizi culturali e la carenza di servizi e dimostrando con il suo esempio che star meglio è possibile

di Veronica Rossi

«Dobbiamo parlarne, scambiare informazioni: se ci muoviamo, le cose possono cambiare e se si è seguiti, tutto si può superare». È così che la pensa Natalia Barillari, presidente di Libellula Associazione familiari amici sofferenti psichici, sodalizio di Catanzaro che si occupa di dare supporto e complemento alla medicina nell’ambito della salute mentale e del disagio; in collaborazione con il centro diurno del Centro di salute mentale – Csm della città, per esempio, questa realtà ha organizzato corsi di musicoterapia per gli utenti. Barillari si è avvicinata all’attivismo nell’ambito dei diritti e della sensibilizzazione sui disturbi psichici per un motivo personale: da piccolissimo e poi da adolescente, suo figlio ha avuto bisogno di un supporto in questo senso; ora il giovane, ormai adulto, sta bene e lavora nelle forze armate. «I problemi di mio figlio sono nati quando aveva quattro anni, a seguito della mia separazione con suo padre», ricorda la presidente. «Non tanto per il fatto in sé quanto perché l’altro genitore non ha rispettato gli accordi e, in sostanza, è scomparso. Arrivata a un certo punto mi sono resa conto che io ero mamma, non psicologa o psichiatra, e che mi serviva una figura professionale». Così la donna si è rivolta alla neuropsichiatria di Catanzaro, dove il bambino è stato seguito da uno psicologo. «In adolescenza c’è stato un altro stop», continua Barillari, «sono cominciate le crisi di panico e l’ansia; la scuola non recepiva questa sua situazione e, contemporaneamente, la mia separazione è finita per vie giudiziarie, così lui ha dovuto anche testimoniare in tribunale». Nel corso del suo percorso per aiutare il figlio, la madre si è resa conto che moltissime persone avevano difficoltà ad affrontare tematiche legate alla salute mentale. «La prima volta che sono entrata nella neuropsichiatria di Catanzaro, c’era un’altra mamma, che subito si è alzata e mi ha dato le spalle per tutto il tempo in cui io ero lì», racconta Barillari. «Ho capito che dovevo aiutare mio figlio, ma anche dare qualcosa agli altri: ho cominciato a farmi una cultura, a intraprendere io stessa un percorso. Così è nata l’idea di far nascere l’associazione, anche con l’aiuto di uno psichiatra, con cui stavo facendo un corso di naturopatia. Io dico sempre che ho avuto due vite, una completamente diversa rispetto all’altra. Oggi faccio parte di consulte, dell’Unione nazionale delle associazioni sulla salute mentale – Unasam e cerco di dare un mio contributo alle realtà locali». Nell’entroterra calabrese, infatti, lo stigma è ancora fortemente radicato, tanto che alcune persone arrivano a non uscire di casa. «Manca il supporto per le famiglie, un rapporto che dovrebbe esistere con l’attività sociale e sanitaria e con il Terzo settore», conclude Barillari. «Io racconto sempre la mia storia, perché voglio dimostrare che si può andare avanti: mio figlio ora ha una vita normale, ma io mi ci sono dedicata con tutta me stessa».


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