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Lamezia Terme marcia in memoria delle vittime di ‘ndrangheta

La Calabria dice no alla ‘ndrangheta. Lo fa da anni grazie al coraggio di alcuni imprenditori che hanno dimostrato quanto sia importante restare uniti e denunciare. Così come si sarebbe dovuto fare con Libero Grassi, ucciso perché rimasto solo. A tutte le vittime di ‘ndrangheta lametine è, quindi, dedicata la “Giornata della memoria”, istituita il 24 maggio grazie all’impegno della "Fondazione Trame" e dell’Associazione Antiracket Lamezia “Ala”

di Gilda Sciortino

Era l’alba del 24 maggio del 1991 quando due giovani netturbini calabresi, Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano, vennero uccisi nel quartiere Miraglia di Sambiase, a Lamezia Terme, vittime innocenti della ’ndrangheta. Delitto al quale fu conferita da subito una matrice mafiosa legata agli appalti del servizio di nettezza urbana del Comune di Lamezia Terme. Un duplice omicidio per il quale la Fondazione Trame e l’Associazione Antiracket Lamezia “Ala”, congiuntamente ai familiari delle vittime, avevano depositato presso la Procura della Repubblica di Catanzaro, all’attenzione del magistrato Nicola Gratteri, l’istanza di riapertura delle indagini relative all’attentato terroristico – mafioso.

Per ricordare la morte di questi due giovani, ma per non dimenticare e rendere il merito che hanno anche tutte le altre vittime di ‘ndrangheta lametine, oggi la comunità animerà una marcia civile in occasione della seconda “Giornata della Memoria Lametina delle vittime innocenti di ‘ndrangheta”, patrocinata dal Comune di Lamezia Terme. A guidarla saranno i volontari di “Trame” e “Ala”, insieme ai giovani scout dell’A.G.E.S.C.I. zona Reventino.

«Credo che l’omicidio dei due giovani netturbini sia stato il più assurdo delle cosche del nostro territorio – afferma Maria Teresa Morano, coordinatrice dell’associazione Antiracket Lamezia Ala – perché non colpirono un esponente delle forze dell’ordine, come avvenne più avanti con il sovrintendente di Polizia, Salvatore Aversa, e la moglie, Lucia Precenzano. L’omicidio cruento di Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano, inoltre, è l’unico a non avere avuto ancora giustizia. Era, quindi, necessario fare in modo che la cittadinanza iniziasse a riflettere sul prezzo così alto pagato con l’uccisione dei due giovani netturbini e di tanti altri caduti sotto il fuoco della ’ndrangheta. Da lì l’idea di una giornata istituzionalizzata che consentisse a tutti di fermarsi per cominciare a sentire diversamente ciò che succede attorno a noi».

La prima tappa, alle 10, sarà proprio sul luogo in cui Francesco e Pasquale vennero uccisi crivellati di colpi. Ad animare questo e tutti gli altri momenti della giornata ci saranno gli scout, a conclusione di un percorso che li ha visti riflettere tutto l’anno sui temi della legalità e dell’impegno antimafia.

«Anche grazie a loro – prosegue la Morano – portiamo avanti un tema fondamentale, per noi di “Trame,” che è quello della memoria, per scongiurare ciò che è, per esempio, accaduto con le storie di vittime risultate spesso sconosciute, come quella del giudice Francesco Ferlaino, il primo magistrato vittima di ‘ndrangheta in Calabria. Venne ucciso il 3 luglio del 1975 a Nicastro, frazione di Lamezia, a colpi di fucile da sicari ignoti. Da quel giorno nessuna condanna. Sembra che una delle cause del suo assassinio fosse che, con le sue indagini, si era spinto sino all’interno della massoneria calabrese, riuscendo già a intuire il potere che da lì a breve la 'ndrangheta sarebbe riuscita ad acquistare in Calabria. Ferlaino aveva anche presieduto il processo contro la mafia palermitana, all'epoca responsabile della strage di Ciaculli. Raccontare la sua storia ci consente di tenere desto il ricordo perché è giusto che la città si faccia carico almeno della memoria».

Dopo la deposizione dei fiori sul luogo del tragico assassinio di Tramonte e Cristiano, si proseguirà con il ricordo della guardia giurata Antonio Raffaele Talarico, assassinata il 2 settembre 1988, nella sua casa natale di Vico Poerio II, sempre nel centro storico di Sambiase.

Alle 18.30, con avvio dall’area antistante il Tribunale di Piazza della Repubblica, sarà ricordato l’avvocato Torquato Ciriaco, ucciso il 1° marzo 2002, e dell’avvocato Francesco Pagliuso, il cui omicidio avvenne il 9 agosto 2016. Si raggiungerà, poi, corso Numistrano per ricordare Francesco Ferlaino, mentre in via dei Campioni si farà memoria attorno alla storia dei coniugi Aversa – Precenzano, uccisi il 4 gennaio 1992.

Il corteo si spingerà, infine, fino all’area mercatale del quartiere di Nicastro, luogo abitualmente frequentato dai più giovani, per ricordare Gennaro Ventura, fotografo e carabiniere in congedo assassinato il 16 dicembre 1996, concludendo la marcia con un momento a cura dei ragazzi.

«Ricordiamo il prezzo che hanno pagato anche quelle vittime che non erano innocenti o erano solo giovani ragazzi che pensavano di trovare nelle affiliazioni con la criminalità un percorso di riscatto che invece li ha portati in carcere. La nostra – aggiunge la coordinatrice di "Ala" – vuole essere una riflessione per una città che sembra non riuscire a farsi carico di quanto questa ‘ndrangheta sia stata cruenta e del prezzo che abbiamo tutti pagato per la presenza delle cosche nel nostro territorio. A volte io ho la sensazione che questa presenza, questa ingerenza nel tessuto socio-economico venga sottovalutata soprattutto da quella fascia di alta borghesia che esordisce dicendo: “Tanto si ammazzano tra di loro, che vuoi che sia, non mi tocca».

Un impegno che ha portato risultati non indifferenti.

«L’associazione nasce nel 2005, mentre “Fondazione Trame” nel 2012. Negli anni abbiamo visto cambiare sensibilmente il clima, soprattutto dopo un momento di nostro assestamento, durante il quale in molti si chiedevano chi fossimo e cosa facessimo. Pian pianino siamo riusciti ad arrivare ai processi, sostenendo gli imprenditori nella delicatissima fase della denuncia. Basti pensare che, prima di noi a Lamezia, denunciare era qualcosa di impensabile perché il prezzo che si rischiava di pagare era ben più alto. Cominciano i processi per estorsione e prende il via anche la stagione dei pentiti, dei collaboratori di giustizia, quindi le retate lametine, gli arresti, riuscendo come Davide e Golia a provocare un effetto domino che ha aiutato gli imprenditori a farsi avanti. Certo, occorre anche dire che parte della città cha preso maggiore coscienza lo ha fatto grazie anche a "Trame", che ha cominciato a parlare di questi temi e quello che prima era un tabu, quelle parole che non venivano dette, hanno cominciato a circolare, facendo diventare motivo d’orgoglio il fatto di essere l’unica città calabrese in cui, accanto alla ‘ndrangheta, c’era la società civile che alzava la testa».

Un modello, quello creato e applicato, che trae spunto e forza anche dall’esperienza personale.

«È il modello dell’associazionismo antiracket che nasce dopo Libero Grassi, ucciso perché viene lasciato da solo, dopo avere creato grande eco attorno alla famosa “lettera al caro estortore” Allora si capisce che a soluzione era la denuncia. Ecco la denuncia collettiva di Capo D’Orlando, ma anche quella di Cittanova nella quale venne coinvolto mio padre e altri 11 imprenditori. Io vengo a vivere a Lamezia perché mi sposo qui, ma sono di Cittanova dove, nei primi anni ’90, la cosca dominante dei Facchineri veniva a chiederti immancabilmente il pizzo; a noi chiese 50 milioni di lire. Denunciammo in 12, dimostrando che il modello dell’imprenditore non più solo, che ha vicino altri colleghi e le associazioni antiracket e che, quindi, non rischia in prima persona, cambiava lo scenario. Grazie alla mia esperienza abbiamo accompagnato tantissime persone, proprio nel momento in cui Lamezia era al secondo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Grande lo sbandamento perché non si capiva se la città era mafiosa o si stava parlando di una mafia che non esisteva. L’associazione fece emergere l’esigenza degli imprenditori di raccontare la loro storia ed essere accompagnati in un percorso doloroso, come quello che li vedeva invogliare i propri figli ad andare a studiare fuori dalla Sicilia, invece di aiutarli a portare avanti l’azienda di famiglia per non essere costretti a scendere a compromessi, per esempio su dove acquistare le forniture o chi assumere. Come successo a tutte le grandi aziende di Lamezia. Quello su cui lavoriamo è, infatti, il coinvolgimento per evitare ciò che anch’io di cui non mi accorgevo da piccol quando sapevamo tutti che c’era la ‘ndrangheta, ma bastava farci i fatti nostri perché non ci riguardava. Poi, però, un giorno sono venuti a bussare alla nostra porta e allora ci ha riguardato».

Ecco, dunque, il valore di una giornata come quella odierna, già con tutti i requisiti per diventare di anno in anno il segno di una città che, all’oppressione, risponde con una presa di posizione netta, con l’impegno civico, con la partecipazione, con la legalità. Perché il ricordo di tutte le vittime altro non è che identità comune.