Cooperazione & Relazioni internazionali

L’innovazione booster per l’Africa

Amref presenta a Roma "L'Africa mediata 2023". Per George Kimathi, direttore Amref Institute of Capacity Development, gli strumenti «dell’innovazione permetteranno al continente di fare un grandissimo passo in avanti nei prossimi anni»

di Redazione

L’innovazione come strumento per cambiare in meglio la società. Un paradigma fra i più diffusi (noti e accettati) in tutti i Paesi del mondo. Tutti, tranne in Africa. Il continente sconta infatti secoli di stereotipi e di narrazioni discriminatorie.

Questi clichè «non nascono a caso ma sono frutto di secoli di cultura razzista, alimentata dall’uomo bianco per giustificare il proprio potere, colonialismo e schiavismi». Parola di Paola Crestani, presidente di Amref Italia, intervenuta sul tema durante la presentazione di “L’Africa Mediata 2023”, report curato da Osservatorio di Pavia per Amref Italia, che studia quale e quanta Africa è passata attraverso i media italiani nei mesi scorsi. Sullo sfondo un obiettivo e una riflessione. «Dobbiamo – spiega Crestani – cambiare il nostro sguardo proprio per evitare di ripetere gli errori fatti». Per farlo occorre «decostruire una cultura discriminatoria». Il report della Ong va proprio in questa direzione.

Decostruire una narrazione razzista

Una contronarrazione, che non è appesa nel vuoto. Ma poggia su numeri e osservazioni. «L’Africa è un continente giovane e pieno di gente caparbia» sintetizza Crestani. «Amref – sottolinea – è un’organizzazione africana, con headquarter in Africa, con una visione africana, siamo la più grande no profit ha da sempre combattuto contro la discriminazione».

I numeri della discriminazione

Dal rapporto di Amref emerge che di innovazione in Africa sui media italiani si parla poco e spesso nel modo sbagliato. Due dati lo confermano: l’estrema marginalità del tema, presente nelle testate specializzate ma difficilmente nei media mainstream, e la quasi esclusiva connotazione esogena dei cambiamenti, descritti per lo più come conseguenze di progetti esportati dall’Italia o in generale dall’Occidente. Nei 75 programmi televisivi analizzati, in 829 puntate, solo il 6% dei frame (50 frame) è dedicato al tema dell’innovazione e dello sviluppo in Africa. Inoltre, si evidenzia come nelle edizioni online e delle pagine Facebook delle 62 principali testate giornalistiche italiane e degli organi di informazione dedicati all’Africa, nel corso dell’anno solo 96 articoli e 28 post su Facebook riguardavano i processi di innovazione in Africa. Di questi, la maggioranza è dedicato al settore economico con focus su progetti di cooperazione che partono dall’Europa con la percezione di un continente “sotto tutela”.

Spinta dall’innovazione

«Gli strumenti dell’innovazione permetteranno al continente africano di fare un grandissimo passo in avanti nei prossimi anni» dice George Kimathi, direttore Amref Institute of Capacity Development. «Il 75% della popolazione ha 25 anni» entra nel dettaglio. Già, ma dove guarda l’innovazione in Africa? Al settore sanitario, in prevalenza. Fra le buone pratiche Kimathi cita Jibu, una soluzione di mobile learning per supportare lo sviluppo professionale di infermieri e ostetriche «grazie alla quale possono seguire corsi per specializzarsi». Un’app che è soprattutto uno strumento per migliorare le cure «di persone affette da malaria, da HIV, malnutrizione». È sempre dedicata alla formazione ma più in chiave comunità Leap, un’app che «permette di aiutare le persone in particolare con informazioni a tema igienico sanitario». Si occupa invece di raccolta dati M-Jali (che sta per Mobile Jamii Afya Link). «Durante l’emergenza Covid ci ha permesso di inviare informazioni dalle zone rurali ai sistemi centrali. Un’ottimo strumenti preventivo».

L'ironia di Nathan

Numeri, nuovi scenari, previsioni. Ma anche risate. Quelle di Nathan Kiboba, 27 anni, congolese di Milano, ospite anche lui alla presentazione del rapporto Amref. Un po' perché è un comico di professione. Un po' perché ha un sorriso disarmante. È diventato famoso dopo essere intervenuto al programma televisivo Le Iene con questa frase: “Ho 27 anni e sono cinese”. Infatti usa la satira per raccontare la sua storia e per far cadere molti pregiudizi che spesso si hanno sull’immigrazione. Lui stesso ha fatto presente che si può ridere veramente di tutto, come ha rivelato in una dichiarazione molto interessante, che ci fa capire ancora più esattamente quali siano le basi che stanno a fondamento del suo modo di intendere la comicità. «Sono in Italia dal 2015 – racconta – e sì. Una narrazione diversa dell'Africa è importante. Soprattutto – spiega – per gli africani. Io cerco di raccontare il continente con l'ironia e l'autoironia. Mi piace ridere con l'Africa e non dell'Africa».

La foto in apertura è dell'Archivio Amref. Le altre immagini sono di Alessio Nisi


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