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Come ricostruire l’alleanza con i ragazzi? Mettendo l’altro al centro, direbbe don Milani

Nel numero di maggio del magazine di VITA la professoressa Daniela Lucangeli riflette sul ruolo che gli insegnanti possono giocare nell’accendere la motivazione dei propri studenti. Come si fa? «Mettendo l’altro al centro», direbbe don Milani. «I CARE. Mi importa, mi stai a cuore. Don Milani ha ribaltato il nostro sguardo sull’educazione cambiando il soggetto: da “io mi prendo cura di te”, a “tu mi stai a cuore”», osserva Lucangeli. «Il salto può sembrare poca cosa, uno scivolamento linguistico, invece è una questione di sostanza»

di Daniela Lucangeli

«Credo che la scuola che conosciamo oggi non sia una scuola che può potenziare lo sviluppo migliore di ciascuno. Servono nuovi paradigmi. La pandemia lo ha fatto venire a galla con più evidenza, ma questo bisogno di rinnovamento ha origini lontane.

Prima del Covid ho fatto parte di una commissione interistituzionale incaricata di studiare il livello di benessere e malessere nelle scuole italiane, coinvolgendo ragazzi tra i 14 e i 16 anni. Già allora era emerso che i nostri studenti sperimentano molto più malessere che benessere nella propria esperienza scolastica. Le cause di questo disagio riguardano sia fattori cognitivi (l’ingozzamento informazionale), sia fattori emozionali (soprattutto ansia e noia), sia sociali (sfiducia nei modelli significativi di riferimento). Detto più chiaramente: la scuola sembra chiedere loro di imparare troppo, in troppo poco tempo, con l’ansia di doverne rendere conto, la paura di non riuscire, la frustrazione in caso di fallimento e la convinzione di togliersi tempo di vita per dedicarlo a qualcosa che – così sperimentata – probabilmente non si ama e mai si amerà.

Per nutrire le emozioni o l'intelligenza il modello idoneo non è quello della ricompensa (diamo un bel voto, elargiamo premi in denaro, doni materiali). Questi rappresentano una motivazione estrinseca: ti dicono di correre per avere la carota. Ne sa qualcosa chi studia per evitare un rimprovero, o una punizione, per conquistare una sufficienza o il regalo promesso per la promozione, per compiacere i genitori. Questo tipo di motivazione è effimera e continuerà a spingere in avanti lo studente solo fino alla ricompensa.

A mio parere, al contrario, la scuola dovrebbe incoraggiare e sostenere la motivazione intrinseca, che proviene da dentro, che continuerà a spingere in maniera costante passo dopo passo, non perché spinti da qualcosa, ma perché attratti da qualcosa.
In questo cambio di paradigma, ecco allora che gli insegnanti non possono limitarsi a essere competenti “magazzinieri” della didattica, ma devono essere “i copiloti” della motivazione dei ragazzi. Devono aiutarli ad allargare la loro gamma di obiettivi, affinché essi diventino, crescendo, sempre più capaci di fissare i propri da soli. Affinché stiano bene con loro stessi, e con gli altri nel presente e nel futuro.

A tal proposito,è evidente che in questo periodo molti di loro si sentono come se stessero brancolando nel buio. Dentro l’assenza di luce molto spesso si nasconde una mancanza di speranze, quella che conduce ad aspettative positive, sostiene lo sviluppo di qualità interiori e che riguarda il porsi degli obiettivi e il cercare di raggiungerli. I neuroscienziati e i neurofisiologi ci raccomandano di mettere l'attenzione alle gioie, alla speranza, al desiderio come obiettivo di educazione.

Da “io mi prendo cura di te”, a “tu mi stai a cuore”

Come si fa a riaccendere questa motivazione intrinseca nei giovani? Be’, mettendo l’altro al centro, direbbe don Milani. Su una parete della scuola di Barbiana campeggia una scritta che deve essere impressa costantemente nelle nostre menti e in quelle di chi ha la responsabilità delle scelte politiche di questo Paese. I CARE. Mi importa, mi stai a cuore. Don Milani ha ribaltato il nostro sguardo sull’educazione cambiando il soggetto: da “io mi prendo cura di te”, a “tu mi stai a cuore”. Il salto può sembrare poca cosa, uno scivolamento linguistico, invece è una questione di sostanza.

Don Milani ci ha illuminato sul ruolo che gli insegnanti possono giocare nell’accendere la motivazione dei propri studenti. Da anni vado ripetendo che chi sta accanto e aiuta, chi si prende cura, esercita su chi è aiutato un’influenza enorme, che non si esaurisce nelle nozioni o negli insegnamenti trasmessi, ma che, impattando sul connettoma dell’altro (l’insieme delle reti neurali del cervello), influisce sulla maturazione della sua individualità.

La scuola come rampa di lancio per le potenzialità altrui

E’ importante che la scuola ne prenda consapevolezza e recuperi la coscienza del suo ruolo, cioè essere un’opportunità, una rampa di lancio per le potenzialità altrui, sapendo che se passa informazioni intrise di giudizi e di interpretazioni, innesca cortocircuiti non solo psicologici, ma anche neurobiologici, reazioni molecolari, tracce nelle memorie profonde del cervello. La scuola va a modificare non solo ciò che sanno, ma il loro Sé più profondo.

Ecco, sono convinta che in questo momento, in modo particolare, i nostri giovani abbiamo un gran bisogno di qualcuno che abbia fiducia in loro e che, al tempo stesso, gli ispiri fiducia. Qualcuno che rappresenti per loro “un gancio in mezzo al cielo”.

Don Milani sapeva anche che la fiducia va prima guadagnata mettendo al centro l’altro, e poi curata giorno dopo giorno, con i fatti più che con le parole, come si farebbe con una piantina.

Il discorso sulla fiducia, vale la pena sottolinearlo, non è fine a se stesso: oggi sappiamo che ha solide basi neurologiche. La scienza ci dice infatti che il nostro cervello è dotato di un meccanismo molto potente, grazie al quale possiamo assimilare dalla nostra specie quante più informazioni possibili, ed è l’imprinting. Per funzionare, l’imprinting sfrutta l’attaccamento: significa che apprendiamo dalle persone di cui ci fidiamo. Subito, quindi, e per tutta la vita, impariamo da chi per noi è un punto di riferimento e di significato.

I nostri ragazzi, durante questa esperienza di vita che stanno affrontando, hanno capito che la scuola non è un luogo con una funzione, ma una collettività umana in reciprocità. La loro idea di scuola sta quindi rinascendo a una nuova vita. Anche l’idea che ne abbiamo noi adulti, comunità educante, dovrebbe dare vita ad una nuova scuola».

*Daniela Lucangeli è docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova, esperta di psicologia dell’apprendimento, membro di associazioni scientifiche nazionali e internazionali


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