Auguri Africa!
25 Maggio Mag 2011 1736 25 maggio 2011"In tutto il continente africano assistiamo a tendenze di fondo nel senso di una crescita nella domanda di democrazia, di rispetto per i diritti umani, di giustizia e di legalità che accompagnano e sorreggono processi di sviluppo economico e sociale. La stagione delle autocrazie irresponsabili, sorde alla volontà popolare volge al termine ovunque. E in Africa artefici del rinnovamento sono i giovani, le donne, i ceti produttivi emergenti nelle città e nelle campagne". Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso del suo intervento in occasione della Giornata dell'Africa nel 48° anniversario della fondazione dell’Organizzazione per l'Unità Africana (Oua), oggi Unione Africana (Ua), ha richiamato stamane la voglia dell’Africa “di cambiare in fretta”.
Personalmente, condivido le linee di pensiero del nostro Presidente Napolitano, così aperto alla speranza, anche se ho la netta sensazione che comunque il cammino africano del riscatto e del riconoscimento sia ancora molto lungo e tutto in salita. Infatti, le autocrazie locali continuano comunque a fare disastri con l’appoggio di potentati stranieri che guardano alle immense risorse minerarie e soprattutto alle fonti energetiche del continente con immensa ingordigia. Sta di fatto che il Prodotto Interno Lordo dell'Africa Subsahariana è oggi di poco superiore al trilione di dollari; dunque è circa la metà di quello italiano a riprova che il continente rimane un territorio di conquista per i nuovi colonizzatori del Terzo Millennio, cinesi in primis. Vorrei inoltre rilevare la miopia dell’Europa che, in materia di cooperazione allo sviluppo, sta facendo l’esatto contrario di quello che il buon senso indicherebbe. È quanto si evince dall’edizione 2011 del rapporto AidWatch presentato la scorsa settimana a Bruxelles da Concord, la piattaforma delle Organizzazioni non governative (Ong) europee. La ricerca traccia un quadro funesto sulle tendenze dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps), certificando il fallimento di credibilità politica della cooperazione europea, nonostante vi siano sotto gli occhi di tutti fenomeni di portata planetaria come la “Rivolta del Pane” che sta attraversando da mesi il mondo arabo.
Cifre alla mano, Aidwatch stigmatizza come gli aiuti messi a disposizione dall’Europa siano lontani dagli obiettivi sottoscritti nel 2000 all’Assemblea Generale dell’Onu e dai traguardi fissati nel 2005 nella Dichiarazione di Parigi. Ma soprattutto distanti dall’impegno assunto in sede internazionale di aiutare chi ne ha davvero bisogno. Sebbene l’Europa rimanga il maggior donatore al mondo, nel 2010, purtroppo solo nove Paesi su 27 hanno raggiunto gli obiettivi di aiuto che avevano promesso di conseguire. Col risultato che guardando al 2015 si prevede che l’aiuto europeo crescerà molto più lentamente di quanto sarebbe necessario per raggiungere l’obiettivo dello 0,7% del Pil fissato per il 2015. Ma al di là dei numeri, il dato forse più preoccupante è che l’aiuto allo sviluppo è sempre più dettato dall’agenda della politica interna, dall’immigrazione e dagli interessi commerciali dei Paesi europei. Non è un caso se hanno incluso nei loro aiuti 5.1 miliardi di euro (circa il 10% del totale), considerati tecnicamente “fuori target” dalle Ong. Spese che non vanno certo disprezzate, ma che non rientrano direttamente nelle strategie di lotta contro la povertà, soprattutto dal punto di vista dello sviluppo. Si tratta di 2,5 miliardi di euro erogati a titolo di cancellazione del debito, 1,6 miliardi di euro per borse di studio e 1,1 miliardi di euro destinati nei Paesi in via di sviluppo per sostenere i rifugiati. Ma non è tutto, infatti le attribuzioni degli stanziamenti dei Paesi europei non sembrano affatto rispondere a logiche paritetiche. Basti pensare che oltre il 30% di tutto l’aiuto allo sviluppo destinato ai Paesi maggiormente bisognosi dal 2002 è andato soltanto a tre Paesi: Iraq, Afghanistan e Pakistan. A questo punto, inutile nasconderselo, vi sono dei Paesi africani poverissimi che rischiano seriamente di rimanere a bocca asciutta come la Sierra Leone, l’Eritrea e il Malawi. Sono anni che il mondo missionario e le Ong chiedono di aumentare i fondi a sostegno della società civile nei Paesi in via di sviluppo, primo vero grande antidoto contro la povertà. Sta di fatto che nel biennio 2008-2009, solo il 10% dell’aiuto bilaterale complessivo, al netto del debito, è stato destinato al rafforzamento della governance e della società civile; una percentuale che nel caso del Nord Africa non ha superato i 4 punti. Purtroppo nel rapporto AidWatch il nostro Paese non fa bella figura. L’Italia è oggi allo 0,15% del Pil dedicato agli aiuti, ma nel 2012 sarà allo 0,12%, mentre per la Commissione europea la soglia di credibilità minima sarebbe allo 0,28%. Per esempio, non è stata versata alcuna quota in favore della cooperazione multilaterale, malgrado esista un debito di oltre 1 miliardo di euro, e nessun contributo è stato erogato al Fondo Globale o alla convenzione per l’aiuto alimentare. Una mano per reperire risorse potrebbe darla, secondo AidWatch, la tassa dello 0,05% sulle transazioni finanziarie, finora osteggiata dagli speculatori di professione. Quei signori unanimemente riconosciuti come i principali responsabili della crisi internazionale dei mercati.
Detto questo, ritengo che la vera sfida nelle relazioni tra Africa ed Europa sia culturale prima ancora che politica, sociale o economica. È infatti necessaria un’inversione di prospettiva e mentalità per comprendere col cuore e con la mente che noi e loro, nel villaggio globale, abbiamo un destino comune. Questo concretamente significa, ad esempio che bisogna comprendere con la forza dello spirito e della ragione che il Mar Mediterraneo è un bene comune. Il cosiddetto Mare Nostrum è anche loro (degli africani) e andrebbe pertanto ripensato in termini paritetici, quelli cioè di un’area di libero scambio, nell’interesse condiviso delle due sponde afro-europee. Comunque Auguri Africa!