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Cooperazione & Relazioni internazionali

Libia: Claudio e compagni liberi

di Giulio Albanese

Ieri sera ho finalmente parlato con Claudio Monici,uno dei quattro giornalisti italiani sequestrati in Libia. Ho provato un grande sollievo nel sentire la sua voce al telefono dopo la loro liberazione e colto il lamento per la morte dell’autista freddato dai miliziani. Sono orgoglioso di averlo come amico perché assieme ai suoi colleghi era lì per raccontare la sofferenza di un popolo martoriato dalla guerra civile. Gheddafi comunque non celebrerà più il Primo Settembre, anniversario della Rivoluzione del 1969. Neanche il digiuno del Ramadan ha fermato le armi. D’altronde, i ribelli, con l’appoggio della coalizione internazionale, non potevano mollare. Come scrive sul suo Blog Andrea Semplici, grande conoscitore della Libia, i liberatori hanno avuto bisogno di 7459 obiettivi colpiti da bombe Nato per arrivare a Tripoli. Una cosa è certa, il cammino per la riconciliazione nazionale è tutto in salita. A parte i grandi interessi legati agli idrocarburi del sottosuolo libico (ricordiamoci che l’Eni estraeva sotto la sabbia il 15% della propria produzione, un terzo del nostro fabbisogno energetico), la spallata decisiva al regime è venuta da chi ha sempre cercato di opporsi al Rais. Secondo Semplici, si tratta dei berberi della montagna, i berberi del Jabel Nafusah. Ma gli arabi di Bengasi avranno saggezza e capacità di previsione nell’ascoltare le rivendicazioni dei berberi? E poi preoccupano le lacerazioni all’interno dei ribelli, culminate, un mese fa, con l’assassinio del loro comandante militare, ex-fedelissimo di Gheddafi. Attentato che rimane oscuro nei giochi sporchi attorno al destino della Libia. Sono contento che Claudio sia sano salvo, ma l’incubo delle violenze rimane. Spero allora che vi sia saggezza in chi comanderà la nuova Libia. Anche perché l’Africa non può prescindere nelle proprie scelte politiche, guardando al futuro, dal nuovo corso libico.


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