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Cooperazione & Relazioni internazionali

La sfida culturale per salvare l’Egitto

Giulio Albanese spiega come il Paese è centrale nello scacchiere internazionale e nel mondo arabo. Occorre investire risorse umane ed economiche per sostenere la società civile, promuovendo una maturazione culturale

di Redazione

«La rivoluzione ha ancora molta strada da fare…», commentava qualche tempo fa l’avvocatessa Magda Adlj del Centro antiviolenza El Nadim. Mi colpì molto la sua intervista dalla quale trapelava un’indole battagliera. Questa donna, come tante altre, non si è lasciata intimidire dall’ ondata di islamizzazione politico-nazionalistica egiziana del dopo Mubarak. Essa fece intendere che le chiusure imposte dall’establishment dei Fratelli Musulmani trovavano, paradossalmente, una loro legittimazione nei limiti della società civile egiziana, ancora molto fragile e disarticolata. Sta di fatto che poche ore fa i militari hanno preso il potere in Egitto e l’uscita di scena del presidente Morsi pone una serie di quesiti ai quali è difficile riuscire a trovare una risposta.

Eletto nel Giugno del 2012 – con una consultazione a cui partecipò meno della metà degli aventi diritto – Morsi impose, nel Dicembre dello scorso anno, un referendum su una contestatissima costituzione. Votò un egiziano su cinque, a riprova che le sue scelte impositive non facevano che accrescere il malcontento popolare. Riusciranno, a questo punto, i militari a garantire una transizione per rispondere alle istanze dei manifestanti di Piazza Tahrir? E i Fratelli Musulmani capiranno che la loro condotta ha delegittimato la presidenza di Morsi? Mi sembra chiaro che qui siamo di fronte ad un problema cruciale che ha non solo una valenza politica, ma soprattutto culturale e religiosa. La vera sfida per il popolo egiziano è quella di reinterpretare la tradizione islamica alla luce della mentalità critica moderna.

Come scrive pertinentemente il mio confratello comboniano, padre Giuseppe Scattolin, “ogni religione (ma anche ogni ideologia e cultura) che non abbia fatto tale processo interno di “re-interpretazione” sarà sempre tentata di ritornare ai modelli passati che sono stati (soprattutto nel caso dell’Islam) improntati per lo più ad una ideologia di conquista e dominio, e quindi certamente non pacifista”. Ma tale “re-interpretazione” della tradizione islamica, spiega Scattolin, professore di mistica islamica, “non può essere imposta dall’esterno…

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