Media, Arte, Cultura

Coma_Cose e i critici musicali

di Lorenzo Maria Alvaro

Amo i Coma_Cose, ho tutto quello che hanno pubblicato (un Ep e un Lp) rigorosamente in vinile e sono andato a sentirli anche quando in scaletta avevano solo sei pezzi. Non volevo scrivere recensioni perché non è il mio lavoro. Poi però ho letto quelle degli altri, quelli proprio pagati per questo, e sono rimasto stranito.

Tre su tutte mi hanno davvero appassionato (Rockit, Rockol e Rolling Stone) e hanno stranamente tre punti in comune (oltre alla erre del nome delle testate).

Primo punto
«Il pubblico non è quello che credevo avessero i Coma Cose. Non ci sono solo zii, fratelli, tipe, broski e millenial vari. In realtà vedo persone che non c’entrano nulla non solo con l’immaginario dei due sul palco, ma che non c’entrano nulla tra loro», scrive Vittorio Farachi su Rockit mentre Simone Magnaschi di Rockol racconta come «avvicinandomi alla lunga fila all'ingresso mi accorgo di essere prevenuto sul pubblico dei Coma_Cose, pensando di essere una mosca bianca in mezzo a tanti ragazzini. Mi sbaglio di grosso: attorno a me vedo persone di tutti i tipi. Sì, ci sono i ventenni, ma ci sono anche altrettanti trentenni e qualche mio coetaneo. Inizio a farmi la domanda su chi sia il pubblico a cui i Coma_Cose parla». Ora al di là del fatto che non si capisce perché debbano essere bianche queste due mosche recensitrici, a lasciare basiti è il pre-giudizio consì tranchant rispetto al pubblico del gruppo, e quindi anche nei confronti del sottoscritto. «Si parte con il BA BA BA BA BA di Jugoslavia e la gente è presa bene. Pure troppo: di fianco a me, un tipo balla carico come se ci fosse Kendrick Lamar sul palco», è invece l’impressione di Matteo Zampollo su Rolling Stone. A quanto pare, a parte nel caso del rapper di Compton, l’entusiasmo non va bene ai live. Meglio stare composti e tristi. Insomma per gli addetti ai lavori è una sorpresa che ci sia tanta gente al concerto e che questa gente sia eterogenea e carica. Dove fossero questi grandi intenditori quando i Coma_Cose fecero il pienone al Magnolia con solo sei pezzi in scaletta non è dato sapere. Non si sono neanche accorti, a quanto pare, che qualcuno qualche soldino lo deve avere investito se Milano è tappezzata di loro pubblicità e i due circolano griffati Timberland da capo a piedi. Quello dell’Alcatraz è stato il sold out più scontato della storia della musica a Milano. A parte che per i giornalisti di settore. Che a quanto pare oltre a mal tollerare la folla hanno una vera e propria allergia al divertimento. Da quando l’indie non è più un modus operandi ma un genere (quel pop, rap, depresso e malinconico) va così. Citofonare a Frah Quintale, Dutch Nazari, Carl Brave e Franco 12(6?).

Secondo punto
«I Coma Cose sono in grado di tirare fuori un pezzo come "Mancarsi", a mio parere una delle, se non la, cose migliori che abbiano mai scritto. Su quel pezzo ho visto gente urlare, piangere, saltare, abbracciarsi, uno che sboccava, la coppia di anziani limonare e i ventenni tenersi per mano. Perché che schifo avere vent'anni, ma che bello avere paura non sarà la frase del secolo, ma è qualcosa di nuovo, evocativo e interessante» si legge su Rockit. Lo stesso giornalista scrive che se dovesse chiedere qualcosa ai Coma_Cose sarebbe: «vorrei lo facessero con più coraggio, con un suono meno morbido, con un gusto meno accomodante. Non vorrei facessero qualcosa per me, vorrei esplorassero certe strade che hanno imboccato su "Mancarsi", su "Nudo integrale", e su "Granata"». Su Rockol si legge «i Coma_Cose, in un certo senso, sono gli Elio e le storie tese di queste generazioni. Sono trasversali, vengono apprezzati da fasce d'età diverse (bambini, ragazzi, adulti), sono innocui (in 18 pezzi ci saranno forse due parole forti), il loro prodotto è di qualità e anche per i duri e puri loro potrebbero tranquillamente essere un “guilty pleasure', un piacere incontrollabile del quale un po' ci si vergogna». Gli episodi più melensi e meno ficcanti del disco e del concerto, per la stampa, sono le vette artistiche. Per loro incastri come come «taglia pupille come Buñuel, animali a sangue caldo tipo vin brulé, con la pelle che va a fuoco, sembra crème brûlée, diventiamo tutti rossi come King Krule» o passaggi come «ho bisogno di una valvola di sfogo, come quella dei braccioli da bambino al mare, ci soffiamo dentro l'anima e a quanto pare, la mia anima inquieta mi ha impedito di annegare», sono roba trascurabile. Le citazioni di Pasolini, Rage Against The Machine e Velvet Underground («Abbiamo bocche di lupo, perché lo stomaco è sottoterra, proprio come il velluto») sono frasette innocue, non un manifesto artistico.

Terzo Punto
Per Edoardo Vitale, sempre Rolling Stone (che, si sa, è più ricco e quindi aveva sguinzagliato ben due cronisti d’assalto) «quasi sul finale arriva Squali e pensi: quanto sarebbe bello se il prossimo disco dei Coma_Cose fosse solo chitarra elettrica effettata e voce?». Già che sballo. Togliamo il rap. E poi andiamo tutti a Rogoredo a drogarci, perché ci rimarrebbe solo quello. «È un po’ strano vedere tutti così carichi. Non perché non funzioni il concerto, anzi. Non perché le canzoni non siano da ballare. Ma a pensarci bene, non si sta mai bene, con i Coma_Cose. Si inventano bugie per rimanere soli, non si divertono più ai party, si vedono i pensieri contorti sotto i capelli corti… “Malinconia emo: mi lamo”» sottolinea in conclusione l’arguto collega di RS (non si sa se fossero vicini al concerto o strategicamente sparsi).

In conclusione i Coma_ Cose hanno fatto un gran disco. Molto milanese, non tanto per la varie citazioni toponamastiche (dalla Darsena al Giambellino, da Gioia a Via Gola, passando per i Navigli) quanto per l’attitudine. Quel miscuglio che è tanto buono quanto chi li recensisce non riesce a capire e a etichettare. E che rappresenta questa città double standard (tanto per citare un altro gruppo meneghino con attitudine). Certo ci sono alcuni episodi più deboli e melensi. Che saranno quelli di più largo successo. Sono stati inseriti proprio per garantirsi questa aura hype da paura.

Il momento più alto del concerto? Sentire cantare a squarciagola il pubblico, che riprendeva tutto con gli smartphone: «La critica sociale, la politica, la povertà, il disagio umano. Vorrei approfondire, ma penso che il mio vero nemico sono io quando ho un telefono in mano. Foto, click, rifacciamo?». Dietro ad alcuni di quei cellulari sono certo ci fossero i vari critici musicali.


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