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Cooperazione & Relazioni internazionali

Femminicidio e narcos: il sistema messicano Parte II

di Emanuela Borzacchiello

pubblichiamo la seconda parte del reportage Femminicidio e narcos. La prima parte clikkando: http://blog.vita.it/cambiamenti/2013/09/05/femminicidio-e-narcos-il-sistema-messicano/

Plan Merida: operazione congiunta messicostatunitense targata 2008, per l’appunto. Obiettivo del Plan è fermare il traffico di droga e per tapparlo bisognava inviare il doppio delle truppe previsto fino a quel momento. Una parte delle forze militari entra in campo, ma per schierarsi a fianco del cartello di Sinaloa, che riesce così a conquistare sempre più forza in un territorio storicamente controllato dai narcos di Juarez.I cartelli della droga in Messico funzionano come cellule. Stabiliscono zone di dominio diretto, si nascondono quando arriva l’esercito, creano relazioni orizzontali di fiducia e alleanza con alcune comunità. Ma ogni cellula per essere funzionale al sistema deve avere caratteristiche precise: la capacità di autorigenerarsi ed essere autonoma ma al contempo dipendente, inserita nel tessuto più ampio del corpocartello dei narcos. Per essere fondamentale ma non indispensabile, non è più necessario avere un’unica testa. In ogni singola cellula scompare il leader maximo che tutto accentra e da cui ogni ordine parte. Le gerarchie continuano ad esistere, ma i confini che dividono i diversi livelli diventano sempre più intercambiabili. Il vertice è occupato da chi è più capace di costruire reti di contatto e relazioni. La struttura cambia perchè la lezione è stata appresa: quando il capo veniva ucciso o catturato, ad ogni testa mozzata seguiva la frammentazione, alla frammentazione la perdita di potere sul territorio, e si finiva con il disfacimento. Oggi il capo supremo e la forza del suo mito restano – “El Chapo” Guzman o Amado Carrillo Fuentes alias “el señor de los cielos” – ma intorno cambia la struttura. Più i traffici crescevano, più si faceva indispensabile cercare appoggi politici, questo è il punto che Alma Guillermoprieto continua a raccontare: “l’impunità che si trasforma in sistema, non può continuare ad esserlo senza aggangi politici”.

A cambiare è anche il tessuto sociale creato intorno alla coltivazione e al traffico degli stupefacenti. Non ci sono più i contadini di marijuana della costa del Pacifico, assorbiti dai grandi trafficanti che vendono all’ingrosso. Oggi le relazioni economiche più forti sono da un lato quella tra il Cártel del Golfo e la ‘Ndrangheta calabrese, dall’altro il cartello di Ciudad de Juárez e la mafia russa.

Scomparire in México.

A febbraio è piombato negli uffici del neoeletto presidente Enrique Peña Nieta, Partido revolucionario institucional, il report “Los Desaparecidos de México: El persistente costo de una crisis ignorada” (Gli scomparsi del México: il costo persistente di una crisi ignorata) di Human Rights Watch, una delle organizzazioni più importanti al mondo in difesa dei diritti umani. Per l’attuale classe politica le 193 pagine del documento hanno avuto l’effetto di una serie di mine vaganti lasciate circolare negli stati della repubblica. Sono state fornite prove e individuati colpevoli. 250 i casi di scomparsa documentati durante il governo dell’ex presidente Felipe Calderón, di questi per 149 sono agli atti prove evidenti dell’implicazione di agenti del governo: “Il presidente Peña Nieto ha ereditato una delle crisi peggiori in materia di sparizioni forzate che si siano mai verificate nella storia dell’America Latina”, sottolinea José Miguel Vivanco, direttore per il continente americano di Human Rights Watch, “Dato che la sua amministrazione aveva annunciato misure importanti per assistere le vittime della violenza, deve agire per assicurare alla giustizia i responsabili. Abbiamo riscontrato che i membri di tutte le forze della sicurezza nazionale sono stati implicati nelle sparizioni forzate: Esercito, Marina, polizia federale, statale e municipale. In più di 60 casi è stata riscontrata la collaborazione diretta di agenti che collaborarono con la delinquenza organizzata nella sparizione di persone eo per estorcere denaro alle loro famiglie”. Il report è stato preceduto a gennaio da un’analisi del Baker Institute sulla strategia contro la criminalità messa in campo dal governo del Pri: “il México non deve aspettarsi con Peña Nieto un cambio di strategia contro il crimine organizzato rispetto a quello che attuò Felipe Calderón. Il nuovo piano di sicurezza nazionale non è altro che la continuazione della politica messa in atto dall’ex presidente panista Calderón”.

“Ogni storia è una tragedia spaventosa. Quella, però, che ancora oggi non riesco a togliermi dalla testa è Airis Estrella Enrique, sette anni, scomparsa nel maggio 2005. Il suo corpo viene ritrovato in un bidone, riempito di cemento per occultare la prove. Alcuni passanti vedono che dal bidone escono dei capelli e avvisano la polizia. Non sono mai riuscita a superare il trauma di quello che ho visto dai risultati dell’autopsia. Le avevano tolto la pelle quando era ancora viva, la torturarono con mutilazioni multiple in tutto il suo cuerpecito. Ho visto, però, anche la pena di sua madre trasformarsi in forza e lavorare al nostro fianco contro i femminicidi”. Per Marisela Ortiz, 47 anni, rifugiata politica, è necessario gridare, parlare, esigere giustizia dalle autorità, pensando che ogni violenza contro una donna, tra le mura della propria casa o nello spazio desolato di un deserto, non sia normale, che faccia parte di un sistema malato a cui non ci si può abituare.


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