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Cooperazione & Relazioni internazionali

Napoli ci riguarda, ma noi come guardiamo Napoli?

di Emanuela Borzacchiello

É stato molto facile fuggire da Napoli. Avevo 18 anni e voglia forsennata di autonomia. Ma poi nella fuga verso Milano c’era un’altra voglia, di quelle che non si confessano perché sono cattive. La voglia impronunciabile é quella di non volere sentire piú la puzza, la puzza di non sentirti mai al sicuro, quando cammini di notte, quando vai a prendere un treno. Se la puzza del “non sentirsi mai al sicuro” esiste, io l’ho sentita a Napoli.

Un’altro ragazzo é stato ucciso, finalmente la gente é scesa in piazza.  Inutile dirvi chequando sento un altro grido ¡basta! E quando leggo finalmente mi indigno con tutta la forza che posso e mi domando perché guardare Napoli provoca sempre uno stordimento dello sguardo e nell’immaginario. Uno stordimento per cui si vede e, di conseguenza, rimane impressa nella memoria, solo la prima immagine, la cartolina, ma non la seconda, la frase che si sta scrivendo dietro. Cartolina: Don Peppe Diana ucciso dalla camorra. Frase: le ragazze e i ragazzi di don Peppe, Mirella Letizia, Renato Natale e tutti quelli che stanno costruendo oggi un nuovo progetto politico per Casal di Principe. Ragazzi che hanno imparato altre strategie contro la camorra, silenziose e a lungo termine, perchè la rabbia popolare doveva seguire altri ritmi altrimenti non sarebbe arrivata da nessuna parte (vedi anche esperienza di Zanotelli nei quartieri spagnoli).

“Ma perché a Napoli non si reagisce con la stessa rabbia popolare quando i morti li fa la camorra?” ha scritto Franco Bomprezzi nel suo blog Francamente, uno spazio che seguo sempre perchè mi stimola a (ri)pensare il presente.

Provo a rispondere perché credo sia una domanda utile, che allena lo sguardo a soffermarsi sulle ambivalenze della societá che viviamo per capirne – nel bene e nel male – i Cambiamenti.  Provo a rispondere perché col passare degli anni quella “fuga” si é trasformata in viaggio, in un andirivieni che mi ha aiutata a non dimenticare l’utilitá della puzza: perché quando vuoi avere davvero cura di una povera patria, sei capace di visibilizzarne e criticarne ferocemente tutti i mali per curarli (incluse le palesi violazioni delle regole minime della circolazione stradale).

La rabbia non puó essere mai la stessa. Cartolina-superficie: la paura per le morti di camorra ha ricoperto spesso di silenzio la rabbia. Retro-quarta di copertina: altre volte no, vedi i ragazzi di Don Peppe.

La rabbia non é mai la stessa perché se a sparare é colui che dovrebbe difenderti o fermarti perché non puoi correre come un pazzo forsennato, allora il cortocircuito é lacerante. Detto banalmente: se a sparare é il camorrista di turno, te lo aspetti. Ma nelle forze dell’ordine ci credi e, quelle, non ti possono tradire.

Se ad uccidere é un poliziotto, questo cosa provoca nell’immaginario? Se a sparare é uno che dovrebbe essere al tuo fianco per risanare campi di pomodori che nascondono distese di spazzatura, questo che effetto produce nelle persone che hanno paura di denunciare?

Se é utile non dimenticare “la puzza” per avere cura, forse é utile e molto positivo che la rabbia popolare reagisca con molta piú forza e frastuono quando a sparare é “fuoco amico”, perché non vuoi essere tradito, perché vuoi ancora avere fiducia.


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