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«Restare in Italia? Per me è una sfida»

di Serena Carta

Alessia Bottone non prova sensi di colpa nel dire che «se qui le cose non dovessero andare, prendo la valigia e vado via». Ma nel suo caso, tra il dire e il fare, c’è in mezzo una gran dose di determinazione e grinta, di voglia di farcela con le proprie forze a realizzare i sogni nel cassetto. In Italia. Retorica? No, e lo dimostrano i fatti. Alessia oggi vive a Verona, scrive libri – il suo Amore ai tempi dello stage, nato dall’omonimo blog, sarà seguito nel 2014 dalla pubblicazione di una nuova opera edita da Kowalski, gruppo Feltrinelli –  e prova a fare la giornalista; allo stesso tempo – «per procacciarmi il cibo» –  lavora in un call center, da ripetizioni di italiano e fa la hostess. Insomma, una che non batte la fiacca.

Nel 2012 Alessia diventa “un caso”: la stagista Onu che per sopravvivere fa la cameriera (leggetevi la bella intervista che le ha fatto CaféBabel). Tutto nasce da una lettera inviata all’Arena, il giornale di Verona, per lanciare un appello: «Parlo quattro lingue, ho pelato patate in Irlanda e in Francia per avere un futuro migliore. Ora mi ritrovo senza sogno, quello che ho coltivato per tanti anni e che mi rendeva così determinata. Mi ritrovo senza soldi sufficienti, anche solo per emigrare. Non posso progettare. Che si dice in questi casi? Chiedo a voi». Dopo 5 anni trascorsi all’estero a fare tirocini di qua e di là, Alessia decide infatti di tornare in Italia: «Una volta rientrata, mi sono laureata e ho iniziato a fare la commessa». Fin qui, tutto bene. D’altronde è abituata, Alessia, a fare la commessa: «Lavoro nei negozi da quando ho 16 anni per mettermi da parte i soldi che poi mi sono serviti per pagarmi gli studi e andare in giro per l’Europa e fare stage nelle organizzazioni internazionali». I veri problemi iniziano nel gennaio 2012: «Il mio contratto è scaduto e non sono riuscita a trovare un lavoro neanche come cameriera. Per ripartire all’estero ci volevano soldi, che io ormai avevo finito con la mia ultima esperienza a Bruxelles. Più il tempo passava e più ero in rosso». Trascorrono sette mesi, durante i quali Alessia guadagna 20 euro al giorno. Partire non è un’opzione: uno, perché i soldi non ci sono, due perché non vuole sentirsi obbligata a emigrare «con la valigia di cartone, come negli anni ’50». È a questo punto che scrive al giornale della sua città, poi alla Ministra Fornero (da cui non ha mai ricevuto risposta) e apre infine il blog Da Nord a Sud, parliamone «per raccogliere le storie di chi come me viveva una condizione di precarietà, uno spazio aperto per parlarne senza vergogna. Inizialmente pensavo che fosse un mio problema, ma dal blog ho visto che era una condizione comune».

Il tempo passa, Alessia viene invitata a parlare nei talk show e intanto apre un secondo blog, Amore ai tempi dello stage, da cui nasce una rubrica sul magazine Vero salute e infine il suo primo libro. «Devi sbatterti come un matto, ma effettivamente è possibile farcela. Quando il libro è stato pubblicato, era destinato a morire, perché è così quando lavori con le piccole case editrici. Così ho creato una campagna estrema, diventando l’ufficio stampa di me stessa: ho chiamato i giornali, le tv, le librerie di tutta Italia. E ha funzionato».

Alessia è restata in Italia non per un senso di responsabilità verso il paese – anzi, ammette che a volte nel popolo italiano proprio non si riconosce, tanto meno nei coetanei. La sua è una sfida: «Voglio vedere se una ragazza come me, laureata all’università pubblica, senza conoscenze, senza raccomandazioni, senza aiuti riesce a farcela a restare. Ho fatto un esperimento: son partita pelando patate in Irlanda per pagarmi lo stage, vediamo fin dove riesco ad arrivare». È con questo spirito così che oggi affronta le sue giornate: «Voglio dimostrare che si può scrivere libri senza agenti letterari, che si può diventare giornalisti anche se per farsi pubblicare un articolo è un’impresa! Quando Kowalski mi ha chiamato per dirmi ‘va bene’, per me è stata una consacrazione ai miei sogni. Kowalski non ha neppure una casella email, mi sono fatta in quattro per ottenere la loro attenzione!».

La questione dei #cervellidiritorno per Alessia è meno romantica che per la sottoscritta. E sul dilemma “restare o partire”, non se la sente di dare consigli: «Se uno in Italia è frustrato e sente che le sue capacità non sono accolte come dovrebbero essere, che parta. Se uno se la sente di restare, che resti. L’importante per me è tenere duro. Ai primi segnali di depressione – che esiste, anche se nessuno ne vuole parlare, tanto che a un certo punto pensi che qualcuno si sia inventato un segnale anti spam dedicato a te – bisogna diventare risoluti, recuperare l’autostima e non aver paura di metterci la faccia».

 

photo credit: Encore! [ Stefano Coviello ] via photopin cc


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