Cooperazione & Relazioni internazionali

Il potere delle tasse

di Marco De Ponte

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Tutti (o quasi) le paghiamo. Su quello che acquistiamo, sul denaro che possediamo. E’ il “quasi” che fa la differenza, soprattutto quando parliamo di multinazionali che nei paesi poveri o in quelli a medio reddito non ne pagano abbastanza o che fanno di tutto per aggirarle. Le tasse, invece di trasformarsi in moneta contante che i governi locali potrebbero impiegare per costruire servizi pubblici di base come scuole, ospedali, strade, quando non pagate, diventano per i paesi poveri una vera e propria perdita di miliardi di dollari ogni anno.

ActionAid aveva già sollevato la questione con una ricerca sul campo: quella su una delle più grandi multinazionali britanniche, Zambia Sugar, affiliata della Association British Foods, che in Zambia non paga le tasse da anni, pur essendo il paese afflitto da malnutrizione e indigenza. Tra il 2007 e il 2012, la multinazionale ha pagato meno dello 0,5% su 123 milioni di dollari di profitti al lordo di imposte, beneficiando della “generose” norme in vigore nel paese. E trasferendo almeno un terzo dei profitti nei paradisi fiscali. Paradossalmente, Caroline, 28 anni e madre di una bambina, venditrice locale di zucchero, ha entrate giornaliere pari a 4 dollari, sulle quali in un anno – a conti fatti – paga più tasse del colosso Zambia sugar.

Ogni settimana, le grandi compagnie operanti nei Paesi impoveriti ricevono un regalo di ben oltre 2 miliardi di dollari in termini di incentivi fiscali, esenzioni dal regime tributario standard che invece altri, devono seguire. Il nuovo rapporto di ActionAid, pubblicato in questi giorni, stima che gli incentivi fiscali e i “trucchetti” (il cosiddetto tax dodging) utilizzati dalle multinazionali per aggirare il pagamento delle tasse costano circa 138 miliardi di dollari in tasse ogni anno. Una cifra che sarebbe sufficiente a scolarizzare tutti i bambini in età di scuola primaria nei paesi poveri, a raggiungere tutti gli Obiettivi del Millennio legati alla salute e che si potrebbe investire in programmi di sostegno ai piccoli agricoltori.

Anche cancellando un solo incentivo si potrebbero raggiungere grandi traguardi. Ecco qualche e esempio. In Zambia, in un solo anno, le entrate perse attraverso incentivi fiscali destinati ad una sola compagnia – la Zambia Sugar appunto – avrebbero potuto coprire l’intero costo degli interventi portati avanti per combattere la malnutrizione infantile. In Tanzania, i 10 milioni di dollari sacrificati alla PanAfrica Energy, avrebbero potuto pagare l’educazione a 175.000 ragazze. I costi di questi incentivi sono molteplici: oltre ai tagli alla spesa pubblica, i governi tendono a colmare la mancata entrata aumentando le tasse alle persone comuni – anche le più povere – a partire dall’IVA fino ad arrivare ai combustibili necessari per l’illuminazione e per cucinare. Gli incentivi inoltre corrodono la credibilità del regime fiscale e la fiducia nei suoi confronti: i piccoli imprenditori locali, che non giovano di alcuna facilitazione, avvertono infatti l’ingiustizia del sistema. Un sistema che impoverisce i poveri e arricchisce ancora di più i super-ricchi.

Anche l’Italia potrebbe giovare dalla lotta all’evasione ed elusione fiscale globale. Pensiamo ai paradisi fiscali: anche qui da noi, il denaro nascosto nei paradisi fiscali è di così elevati volumi che basterebbero poche briciole per recuperare risorse da destinare al supporto del welfare o ad altri servizi pubblici. Si parla infatti di 500 miliardi di euro. Quello che ActionAid sta chiedendo in questi giorni con una petizione online  al Governo Letta è di imporre una maggiore trasparenza alle multinazionali italiane; dal rientro dei capitali nel nostro Paese gioverebbe di sicuro la nostra economia, e anche le vite degli italiani.


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