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Cooperazione & Relazioni internazionali

Lampedusa, l’isola dove naufraga il diritto

di Marco De Ponte

Se la qualità della democrazia di un Paese è direttamente proporzionale a quella delle sue carceri, altrettanto si può dire del suo sistema d’accoglienza. Spesso basta varcare la soglia di un centro per migranti per entrare in un mondo che ha ben poco a che fare con la narrazione a cui ci hanno abituati i proclami delle forze politiche e i dibattiti televisivi. E che ha poco a che fare con la stessa accoglienza.

La Coalizione Italiana per i Diritti e le Libertà Civili (CILD), l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e IndieWatch pochi giorni fa hanno inviato a Lampedusa avvocati, ricercatori e mediatori per vedere cosa sta realmente accadendo nell’hotspot dove sono ospitati migranti giunti in Italia dopo aver rischiato la vita per attraversare il Mediterraneo. Proprio lì dove dovrebbero essere al sicuro, uomini, donne e bambini vivono in condizioni precarie e non si sentono tutelati e protetti. I rappresentanti delle tre organizzazioni hanno raccontato di sistematiche violazioni dei diritti umani, perpetrate anche a danno di categorie vulnerabili.

Agli avvocati Crescini e Santoro è stato negato l’accesso al centro, nonostante avessero alcuni loro assistiti all’interno, ledendo così di fatto il diritto alla difesa delle persone. Le testimonianze dei migranti raccolte da CILD, ASGI e IndieWatch restituiscono l’immagine di un centro che fa venire i brividi: centinaia di persone vivono in condizioni igieniche e materiali indecorose; minori e donne sono costretti ad alloggiare in sostanziale promiscuità con i maschi adulti; non esiste una mensa e il cibo, di scarsissima qualità, deve essere consumato in stanza o all’aperto; i water alla turca sono senza porte e i “materassi” (tre centimetri o poco più di gommapiuma) sporchi, deteriorati e ammuffiti.

Altra difficoltà per i migranti ospitati a Lampedusa è formalizzare le domande di protezione internazionale: ai richiedenti asilo, infatti, non viene rilasciato alcun titolo di soggiorno. Di fatto, questi ultimi non possono lasciare l’isola perché senza tale titolo non possono acquistare biglietti per il trasporto aereo o via mare e sono costretti a vivere nell’hotspot anche per molte settimane.

Il 2018 si è aperto a Lampedusa con il suicidio di un migrante ospitato nell’ ’hotspot. Evidentemente neanche la morte di una persona ha fatto sì che le condizioni di vita nel centro cambiassero. La situazione è degenerata nuovamente l'8 marzo, quando a seguito dell’ennesimo atto di autolesionismo – un migrante ha infatti ingoiato una lametta, il secondo in sette giorni – si sono esasperati gli animi e una stanza del centro è stata data alle fiamme. Secondo le testimonianze raccolte, al tentativo degli ospiti di uscire dal cancello principale per protesta è seguita una violenta repressione delle forze dell’ordine. Nel corso delle cariche, una bambina di soli 8 anni e una ragazza di 23 hanno subito lesioni riconducibili a colpi di manganello e sono state condotte presso il pronto soccorso dell’isola. Se queste dichiarazioni fossero confermate appare evidente che un centro in tali condizioni configuri trattamenti disumani e degradanti. Un luogo da cui le persone andrebbero tutte trasferite e di cui sarebbe opportuna l’immediata chiusura.

Anche il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha parlato il 24 gennaio scorso di condizioni “indecorose e inaccettabili”. Non sorprende quindi la decisione di chiudere temporaneamente l’hotspot presa il 13 marzo al Viminale dal Capo Dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione, dal Direttore Centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Dipartimento di Pubblica Sicurezza e dal Sindaco di Lampedusa. La chiusura è stata sancita per consentire lavori di ristrutturazione dopo un progressivo e veloce svuotamento del centro. Se fossero confermate le testimonianze raccolte, anche i metodi di gestione dovrebbero cambiare in modo radicale, per rispettare i diritti fondamentali di chi arriva nel nostro Paese.

ActionAid è impegnata nel sostenere i migranti nella consapevolezza e nell’accesso ai propri diritti, nel partecipare alla vita pubblica e nel favorire un cambiamento della percezione degli stessi nell’opinione pubblica. Se cambiare la percezione di una realtà consolidata richiede tempo, è indispensabile e necessario che non si verifichino violazioni dei diritti degli uomini e delle donne che ospitiamo.

Nel dicembre 2013 l’Italia si è indignata per le “docce disinfestanti” imposte ai migranti nel centro di Lampedusa. Vogliamo credere che quell’indignazione non sia troppo lontana e che cinque anni appena non abbiano cancellato la memoria di quei gesti lugubri. In attesa che si formi un nuovo Governo, gli ultimi eventi che sono stati riportati sull’hotspot di Lampedusa devono rappresentare un forte monito per tutta la classe politica.


Noi di ActionAid chiediamo ai nostri rappresentanti in Parlamento il perché di tutto questo. Chiediamo spiegazioni e uno sforzo fondamentale per continuare ad essere credibili in tema di migrazioni e più in generale di diritti umani: andare a vedere coi propri occhi come vivono i migranti che “accogliamo”, ascoltarne le voci e far si che non si verifichino forme di abuso e violazioni dei loro diritti. I loro diritti sono anche i nostri. Ne va della qualità della nostra democrazia, della nostra capacità di accogliere, di partecipare. Del nostro stesso Stato di diritto.


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