Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

Di capre, galline e ragù: piccola storia di donne, cura e amicizia

di Rossana Cavallari

Sollevo il coperchio per controllare il bollore e la pentola mi istruisce con uno sbuffo di vapore sul punto di cottura del ragù. Ci vuole ancora un po’ di tempo. Quando ho imparato questi gesti? Me lo chiedo ma non ho pazienza per avvolgere il nastro dei ricordi, il poco che so, della pazienza, è riposto nel borbottio del pomodoro, fine. La mia attenzione non sa darsi pace, me ne accorgo in ogni momento della giornata, i pensieri scorrono veloci come scrollati dal pollice sullo schermo luminoso della mente e il rito del ragù è il gesto che ho scelto e che replico per rieducarmi all’attesa. Mentre ci penso mando un messaggio a Rossana e le chiedo cosa sta preparando, lo so che anche lei sta muovendo la chimica di una cucina in questo momento. Lo chiedo e non aspetto neppure la risposta perché intanto mi sono ricordata una storia sul rieducare se stesse e quindi gliela racconto in un messaggio lunghissimo che leggerà quando ne avrà il tempo.

La storia è questa e me l’hanno portata due amiche di ritorno da un viaggio: a Gachoka, in Kenia, un’intera generazione di uomini è stata annientata dalla coltivazione e dal consumo di “miraa”, una droga a basso costo, largamente diffusa, socialmente tollerata e che anestetizza ogni bisogno, rendendo sì meno feroci i morsi della povertà ma anche azzerando il legame con le famiglie. Le donne così sono rimaste sole, senza protezione, senza sostegno e gradualmente anche loro hanno perso l’attaccamento ai figli e la capacità di averne cura. Sono saltati in poco tempo tutti i ruoli parentali e quindi Gachoka oggi ha il più alto numero di bambini mal nutriti della zona. Ma dall’Italia, da una Onlus creata da tre donne straordinarie (Maisha Marefu – lunga vita in Swahili – Onlus) che da anni operano nella zona, è arrivata un’idea semplice e efficacissima: donare una capra o una gallina a ogni donna del villaggio. Un regalo pensato da donne per le donne, con l’idea che capre e galline oltre a contribuire al sostegno della famiglia potessero avere la funzione di riabilitare in loro la capacità di “prendersi cura”.

Fermo l’indice sulla tastiera e il naso mi dice che il ragù è quasi pronto, concludo il messaggio senza capo né coda confidando che Rossana sappia cogliere il nesso tra le capre, il ragù e quell’istinto alla cura che istinto forse non è.
Dopo pochi minuti mi arriva un vocale che dice: Bianca dovremmo proporre a Trenitalia di donarci una capra o una gallina, maschi e femmine così, senza distinzione, per un’opera massiccia di riabilitazione alla cura.

Sì come no sai poi le polemiche e i figli e la società rurale e il pezzo di terra e chi li ferma più i pregiudizi, certo che pure tu a volte hai delle idee che dire stravaganti è poco.

Capito, capito. Allora mi concentrerei sul ruolo meditativo del ragù perché il segreto sta tutto qui nel: come lo fai tu il ragù? Pensa a quando scegli gli ingredienti, li pulisci, li prepari, li metti in pentola e poi stai lì e aspetti. Ma non è che aspetti e basta. Osservi, ascolti, rifletti, metti in fila le cose fatte e quelle da fare, piangi o ridi, fai progetti che poi disfi perché altrimenti il gioco non vale, programmi tutto sapendo che l’imprevisto ti coglierà di sorpresa e potremmo andare avanti così per ore.

Quindi tu dici che se non possono donarci una capra o una gallina almeno dovrebbero dare valore curativo al ragù.

Io dico che il ragù è una responsabilità come la cura con la quale dobbiamo tornare a ricordarci di noi stesse prima ancora degli altri. Perché il vero cambiamento sta qui.

Mi piace pensare che in questo ragù ci sia del buono che possa fare del bene alle persone, alle donne ma non solo.

Mi piace pensare che in questo ragù ci sia tutto il valore di cui noi siamo capaci e, forse, non abbiamo nemmeno troppo bisogno che ce lo ricordino un solo giorno all’anno. Forse dovremmo iniziare a ricordarlo sempre.

Bianca quindi, tu, come lo fai il ragù?!

Questa storia nasce da un’amicizia, quella tra me e Bianca. Nasce dalla nostra passione per le storie che scriviamo a volte insieme a volte da sole. Nasce dalle nostre telefonate durante le quali ci prendiamo cura l’una dell’altra sorridendo perché a noi piace sorridere tanto.

Questa storia nasce dalle nostre esperienze, dai pregiudizi subiti e dalle fatiche fatte e che facciamo per cercare di costruire quello in cui crediamo che altro non è che il nostro sogno.

Non è facile essere donne oggi, è vero.

Forse non lo è mai stato.

Allora concediamoci il tempo di preparare un ragù.

Iniziamo da qui, iniziamo prendendoci cura di noi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA