Economia & Impresa sociale 

Matteo, gli scout stanno con i più deboli

di Marcello Esposito

Chissà se Matteo è d’accordo con la proposta del Ministro della Salute di ribaltare tutta la giurisprudenza in tema di responsabilità sanitaria (e professionale). In base a quanto si legge sulla stampa, toccherà ai malati provare l’errore del medico e non più al medico dimostrare di aver agito correttamente. Si chiama inversione dell’onere della prova e fa parte di un pacchetto di proposte per ridurre i costi delle cause sanitarie.

Una cosa così “assurda” potrebbe sembrare uno di quei palloncini d’aria destinati a volare sempre più in altro, fino a scomparire dalla vista. Senonché la proposta arriva a ridosso del taglio alla diagnostica, di cui abbiamo parlato già su questo blog qui e qui. E le due proposte si incastrano perfettamente per la battaglia a quella che il governo chiama medicina “difensiva” (cioè i farmaci, le visite specialistiche e le analisi diagnostiche che i medici reputano inutili ma prescrivono lo stesso al solo scopo di evitare una denuncia successiva da parte dei pazienti) ma che molti cittadini, come il sottoscritto, chiamano medicina “preventiva”.

La spending review prevede che i medici che prescrivono a carico del S.S.N. visite ed esami che il governo reputa inutili (stiamo aspettando con ansia di capire quali siano e perché) pagheranno di tasca propria, con una riduzione dello stipendio. Al Ministero della Salute devono aver valutato che la minaccia rischia di rimanere lettera morta se i malati possono fare causa al medico o agli ospedali. Infatti, il medico si troverebbe tra l’incudine e il martello. Da un lato, rischierebbe la causa da parte del paziente (se la malattia si rivela grave e lui non ha prescritto gli esami del caso). Dall’altro, rischierebbe lo stipendio (se l’esame venisse ritenuto inutile). La soluzione qual è? Rendere impossibile fare causa al medico. Come si fa? Basta invertire l’onere della prova.

Ma come si fa, anche in linea di principio, a pensare che sia il malato a dover provare che il medico ha sbagliato? Speriamo che qualcuno al governo si ricordi delle origini scout e capisca quanto ingiusto sia un sistema che penalizza i cittadini “deboli” nei confronti dei “forti”, anche solo mettendoli sullo stesso piano. Se c’è un rapporto contrattuale squilibrato (psicologicamente e tecnicamente), questo è proprio quello tra malato e medico/struttura ospedaliera. Per fortuna, comunque, non è solo questione opinabile di “morale”. Ci sono innumerevoli sentenze, tra cui la n. 15993 del 2011 della Corte di Cassazione, sezione III civile, che viene spesso richiamata in materia di responsabilità sanitaria e professionale. Questa sentenza ha ribadito che non tocca al malato provare la colpevolezza o l’imperizia del medico. E’ sufficiente che presenti il danno subito e che elabori la sua tesi sull’inadempienza del medico. Toccherà a quest’ultimo provare che non è colpevole, che ha agito diligentemente o che il danno non dipende da suoi eventuali errori. Il passaggio più famoso della sentenza è il seguente: “In contesti siffatti lo sforzo probatorio (ndr, l’onere della prova) dell’attore (ndr, il malato) può non spingersi oltre la deduzione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del convenuto (ndr, il medico) l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno.” Il testo è scritto in “legalese”, ma il significato è chiarissimo. L’onere della prova, secondo i principi della legislazione italiana, sta in capo al medico, non al paziente.


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