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La grande trasformazione (al contrario)

di Flaviano Zandonai

In molti ci provano per cui non mi sottraggo. Nel caso di penserà l’oblio – grande facoltà della mente mai abbastanza coltivata – a cancellare le mie modestissime previsioni per l’anno che verrà.

Parto da un importante anniversario. Nel 2014 cadrà il 70° della prima pubblicazione de “La grande trasformazione” di Karl Polanyi. Un libro fondamentale per comprendere lo strappo della modernità esercitato dal mercato, che da istituzione “embedded” nell’economia e nella società si è trasformato in una entità a se stante ed autoreferenziale, generando i dissesti e le crisi che ben conosciamo e che sono tutt’altro che sotto controllo. Basti pensare che Borsa Italiana chiuderà il 2013 con un bel +16% che poco ha a che fare con lo stato pietoso dell’economia reale.

Il 2014 sarà però l’anno dove si affermerà un’economia più organica rispetto alle dinamiche sociali. Una specie di “grande trasformazione” al contrario. Non è di per sè una novità: esistono infatti molteplici fenomeni – alcuni di lungo corso come il mutualismo cooperativo – che operano a favore di un’economia di mercato più rispondente ai bisogni delle persone e delle comunità. Ma negli ultimi anni le fenomenologie si sono moltiplicate, spinte dall’altra grande trasformazione rappresentata dal web. Nonostante tutte le ambivalenze di un ecosistema dove la governance è in mano a grandi corporations, la sharing economy rappresenta un altro importante tassello di un mosaico che si fa sempre più velocemente componendo.

L’ultimo miglio dell’economia organica sarà trainato dalle scelte di consumo. Saranno i comportamenti delle persone, singole e soprattutto associate, a fare la differenza. I segnali non mancano, anche di recente. Nel Regno Unito i cittadini reclamano un’economia più “sociale” per la gestione dei beni di interesse collettivo e anche in Italia, una parte sempre più consistente dei cittadini – oltre la soglia “psicologia” di 1/4 della popolazione – è propensa ad affidare non allo Stato la gestione della “cosa pubblica”.

Non è semplice privatizzazione. Questi dati generali esprimono un potenziale di coproduzione dal forte impatto sociale, economico e occupazionale. E il primo destinatario di questa domanda è il nonprofit e l’impresa sociale in particolare. Il passaggio però non è scontato perché proprio sul coinvolgimento dei beneficiari c’è ancora molto da fare. Il problema, come ricorda questo interessante post, è lavorare su consumatori che siano non solo consapevoli (conscious) ma anche e soprattutto coinvolti (committed). E’ questo il valore aggiunto dell’impresa sociale. Perché ormai sugli orientamenti alla socialità si sta posizionando l’economia capitalistica e il marketing mainstream. Buon anno!


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