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La terza società stende la GDO

di Flaviano Zandonai

Visto che il PIL è inadeguato e il BES troppo complicato, affidiamoci alla merendina. La lettura delle tendenze sociali ed economiche è affidata non solo a super indici che sintetizzano la ricchezza e il benessere, ma anche a singole misure in grado di approssimare dinamiche più ampie. Un po’ come il Baltic Dry Index che calcola il costo di spedizione delle materia prime su venti rotte oceaniche molto trafficate. Un dato singolo per una misura di tendenza sullo stato dell’economia globale, a proposito della quale già si intravede la crisi prossima ventura: quella dei Brics. La merendina in sé forse non è così efficace, ma se la si infila in un più ampio “paniere” ne esce un osservatorio sui consumi degli italiani come quello gestito da Conad e da Affari&Finanza che, letto come trend di medio periodo, restituisce un quadro di mutamento sistemico che spiazza importanti attori economici. Big players mica comprimari!

L’attore in questione è la GDO – la Grande Distribuzione Organizzata – che negli anni precrisi ha fatto la parte del leone nel ridisegnare il modello di commercializzazione e consumo, con una parte più che rilevante giocata dal movimento cooperativo. Basta guardare ai risultati economici e occupazionali rilevati dall’ultimo censimento dell’industria e dei servizi: dal 2001 al 2011 il sistema della GDO – insieme al nonprofit – è uno dei più performanti, assorbendo, almeno in parte le tendenze negative di altri comparti.

Ora il quadro sta radicalmente mutando e la GDO perde posizioni, soprattutto nelle aree meridionali. E’ l’effetto di una crisi che ha mutato inesorabilmente la struttura sociale, facendo emergere un nuovo attore leader: la terza società. Quella parte definita come “emarginata” in realtà è sempre più centrale nel ridefinire i sistemi di offerta perché le sue dimensioni sono ormai tali (in particolare in alcuni territori come la regioni meridionali) da “mandare fuori mercato” importanti pezzi dell’economia. Ecco quindi che il mantra del “far ripartire i consumi” con le stesse logiche del passato non basta, come peraltro evidenzia Roberta Carlini nel suo ultimo libro intitolato con un esplicito “Come siamo cambiati”. Bisogna saper leggere nuovi modelli di consumo che sono ormai dominanti.

Fino ad oggi la risposta è stata all’insegna del “low cost” che è all’origine, non a caso, dei nuovi leader della GDO: gli hard discount. Ma questo, alla lunga, non basta. Sono modelli, infatti, che si basano quasi esclusivamente sul contenimento dei costi (strutturali e del personale) e della qualità, ma che coinvolgono solo parzialmente e, nel caso, passivamente il vero driver del cambiamento cioè la domanda. Da questo punto di vista i modelli di GDO a matrice cooperativa hanno una grande opportunità: ricercare una dialettica più marcatamente coproduttiva con i propri clienti (che spesso sono anche soci e molto altro), interpellandoli in tempo reale rispetto a bisogni e aspettative (anche che esulano dal consumo in senso stretto) e assecondando la loro disponibilità intervenire anche nel “retrobottega” del servizio (coprodurre, coprogettare, ecc.). Un’offerta più centrata sulla domanda e gestita secondo modelli just in time anche grazie a piattaforme tecnologiche che, da questo punto di vista, rappresentano un importante veicolo non solo per scambiare beni e servizi ma per co-definire modelli di consumo attraverso una modalità più autenticamente cooperative.

Il sociale, ancora una volta, insegna: i modelli di emporio solidale, infatti, non agiscono solo sulla variabile economica, ma anche sulla compartecipazione degli utenti e sulla valorizzazione di importanti esternalità, come ad esempio la lotta allo spreco. A essere coinvolte sono persone che, non a caso, fanno parte proprio di quella terza società che sta mettendo al tappeto il gigante della GDO. Il loro principale alleato è il consumatore attivo e critico che opera nella stessa direzione, ma a partire dal vertice (autorealizzazione di sè) e non dalla base (sopravvivenza) della scala dei bisogni. Per ora sono ancora distanti: la terza società va all’emporio solidale e il consumatore critico ai negozi bio come Naturasì (non a caso oggetto di un altro acquisto sociale da parte del patron di Diesel). Il punto d’incontro (ancora parziale) è all’hard discount. Ma se qualcuno inventerà (o metterà a regime) un nuovo modello orientato al prosuming asseconderà un cambiamento epocale perché, come ci ricorda ancora Roberta Carlini, “vista con queste lenti l’eredità della crisi non è solo un tappeto di cicatrici e nuove povertà, ma anche una formidabile accelerazione di comportamenti che erano allo stato nascente già prima del cambio di ciclo economico”.


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