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World League, lo “scherzo” di Julio

di Roberto Brambilla

Per scrivere un altro piccolo capitolo del suo mito Julio Velasco, allenatore della nazionale iraniana di pallavolo, è voluto venire in Italia, la sua patria d’adozione (e di passaporto) e precisamente a Modena. Qui, al PalaPanini, nel week end di World League la squadra asiatica ha battuto 3-1 l’Italia di Mauro Berruto, medaglia d’argento olimpica a Londra vincendo la seconda partita contro una “grande” in due settimane, dopo il successo contro la Serbia.

Una vittoria con un significato “particolare” per l’allenatore di La Plata. E non solo perchè Julio Velasco ha allenato per 7 anni gli azzurri (era lui il coach della “generazione di fenomeni” tra anni Ottanta e Novanta) ma perchè per l’allenatore argentino Modena è stato l’inizio di tutto. O almeno della sua storia di vincente. Era il 1985 e Julio aveva 33 anni, ma era tutto meno che un allenatore “di primo pelo”. La gavetta con le giovanili, quattro campionati argentini vinti con il Ferrocarril Oeste tra il 1979 e il 1982, oltre a un terzo posto da viceallenatore ai Mondiali 1982, giocati proprio nella terra di Martin Fierro e di Diego Armando Maradona.

Un Paese da cui Julio andò via nel 1983 per approdare in Italia, a Jesi. Due anni in A2 e l’arrivo in Emilia alla corte del Gruppo Sportivo Panini. Dove Julio, insieme ai miti Cantagalli, Lucchetta, Bernardi e Franco Bertoli domina in Italia e vince anche in Europa. Così come farà dal 1989 al 1996 con la Nazionale azzurra. Mondiali, Europei, World League ma mai un oro olimpico, sfuggito per un soffio agli azzurri ad Atlanta 1996.

Una catena di successi, colti grazie alle qualità dei singoli ma anche alle capacità dell’allenatore di La Plata. Innovativo, preparato, motivatore eccezionale (celebre la sua espressione degli “occhi della tigre”) ed eccellente gestore di un gruppo. Ma soprattutto una persona mai banale. Nelle parole e nelle scelte. Uno che dice sempre quello che pensa sulla pallavolo e sul mondo. Lo chiamano il “Filosofo” (come Pep Guardiola) perchè prima di cominciare la sua carriera in panchina aveva studiato quella materia ma anche perchè è un “filosofo della pallavolo”, uno che dal gioco tira fuori continui inseguimenti. E che se gli chiedono un’ opinione su un argomento d’attualità non si tira indietro. Una persona che viene chiamata da squadre, aziende e istituzioni per parlare di leadership e motivazione ma soprattutto un uomo che ama le sfide.

L’ultima, dopo la Nazionale azzurra femminile, la Spagna e la Repubblica Ceca maschile e un paio di club di A, si chiama Iran. E’ arrivato nel 2011 e ha deciso di vivere nell’antica Persia. Affrontando la nuova vita,  senza paura e senza pregiudizi. Ha osservato, ha assorbito e soprattutto ha insegnato la pallavolo, quello che sa fare meglio. E i risultati si sono visti. Con la vittoria nel Campionato asiatico nell’autunno 2011 e la qualificazione per la World League 2013, la prima nella storia della Nazionale iraniana. E qui le due vittorie (e due sconfitte) con Italia e Serbia. A Modena i suoi giocatori l’hanno lanciato in aria come per una vittoria mondiale, ma il sogno rimane quello olimpico, a Rio 2016. Conquistare una medaglia è impossibile o quasi, ma fondamentale sarò quello che ripete sempre ai suoi ragazzi. “Si può soffrire ma non mollare”.


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