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ASD Birilli, a Roma il calcio (e non solo) per l’integrazione

di Roberto Brambilla

Oltre al pallone c’è di più. Sembrerebbe il ritornello, ovviamente riveduto, di una nota canzone di inizio Anni Novanta. Potrebbe invece essere lo slogan dell’ASD Birilli. Una squadra di calcio a 5 nata all’interno di Popica Onlus, una realtà di Roma che si occupa di orientamento, integrazione e supporto ai rom della Capitale, con attività come un doposcuola gratuita o laboratori nelle scuole, oltre ad avere attivi progetti in Romania. Un’associazione nata nel 2006 che dal 2013 ha ufficialmente una “sezione” calcistica, anche se l’inizio del percorso è stato più lontano. “Già agli inizi del nostro intervento – racconta Christian Picucci, allenatore e  membro del consiglio direttivo di Popica Onlus – mentre giocavamo insieme negli spazi vicini ai campi rom avevamo capito le potenzialità del calcio e dal 2010 abbiamo cominciato ad allenare un gruppo di bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni”. Da quando ha iniziato ad allenarsi l’ASD Birilli hanno partecipato in diverse categorie, dai Pulcini agli Allievi, ai campionati ACLI e attualmente dell’ENDAS, entrambi enti di promozione sportiva affiliati al CONI.

Un gruppo di bambini e ragazzi, soprattutto rom, molti dei quali stranieri vivono nei campi nomadi nella zona di Roma, ma anche italiani o di altre nazionalità (“anche se la maggior parte sono rom noi siamo aperti a tutti” spiega Christian) che può giocare e si può allenare grazie all’impegno e allo sforzo di molti, anche di chi è fuori da Popica. “Noi facciamo gli allenamenti – racconta Picucci- sul campetto autorecuperato dell’occupazione Bpm Metropoliz e giochiamo le gare casalinghe nell’impianto “Auro Bruni” del centro sociale Corto Circuito, realtà che entrambi ci danno una mano gratuitamente perche’ condividono il nostro progetto”. “E quando alcuni spazi non sono stati disponibili – ha aggiunto Christian – siamo stati ospitati da società della zona di Tor Sapienza, anche non legate al sociale”. Una solidarietà verso l’ASD Birilli, che si sostiene con l’autofinanziamente, le donazioni volontarie e quelle del 5X1000, si estende anche ad altre ambiti. “I genitori di alcuni delle squadra avversarie – racconta Picucci – quando hanno conosciuto la nostra storia e il lavoro che facciamo al di là del pallone ci hanno donato quello che potevano, dagli scarpini usati fino alle divise da gioco”.

A dare una mano anche i volontari trovati con un annuncio su RomAltruista, un portale che consente a chi vuole di cercare un’opportunità per svolgere attività di volontariato. “Molti di loro – spiega il membro del Consiglio direttivo di Popica Onlus – ci danno un aiuto in campo ma anche nella logistica, magari andando a prendere e portare i ragazzi al campo, anche se cerchiamo sempre di coinvolgere, tra mille difficoltà i genitori”. Un’esperienza, quella dei “Birilli”, che oltre alla quotidianità ha vissuto momenti particolari, non solo per i ragazzi. Come la partecipazione nel 2011 a “Mediterraneo Antirazzista”, rassegna itinerante a cui partecipano squadre e realtà impegnate sul fronte dell’integrazione e del calcio sociale e di cui ASD Birilli e ASD Popica Onlus organizzano la tappa romana in programma nel week end del 16-17 maggio.

“Nel 2011 si giocava a Palermo, allo Zen – ricorda Christian – e per casualità dividemmo la nave per il viaggio d’andata con un gruppo di ragazzi di Scampia e un altro di richiedenti asilo, perlopiù ghanesi”. “All’inizio ci fu diffidenza e anche qualche difficoltà di comprensione-prosegue Picucci – ma dopo il viaggio, appena sbarcati i nostri ragazzi rom insieme ai compagni di viaggio organizzarono una partita e quando dopo il torneo si dovettero salutare furono solo abbracci e qualche lacrima”. Una squadra all’insegna del giocare e dello stare insieme, ma non solo. Con tanto lavoro con i ragazzi sulla scuola, sul loro inserimento e sull’aiuto quotidiano, in situazioni a volte di estremo disagio. Con un obiettivo, fuori e dentro il campo. “Vorremmo diventare inutili – conclude Christian – nel senso che vorremmo che il nostro lavoro non servisse più, perchè vorrebbe dire che i rom e gli altri gruppi sarebbero stati capaci di fare da soli e significherebbe che avremmo vinto”.


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