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Quando l’urbanistica produce benessere. Forse…

di Marco Percoco

L’urbanistica e la gestione dello spazio costruito incidono in maniera significativa sulla vita di tutti noi. Siamo generalmente indotti a pensare che gli effetti di tali attività di governo del territorio siano riconducibili a variazioni dei valori fondiari e immobiliari o ad una serie di divieti e prescrizioni che ci limitano nella nostra ricerca di una soddisfacente condizione abitativa.

Ma l’impatto della forma urbana è anche indiretto e va ad incidere sulle nostre relazioni sociali.

Oggi le città sono fondamentali per il benessere e la crescita delle regioni e dei paesi in quanto “contenitori” delle nostre interazioni con altri individui, magari più produttivi, con un livello di istruzione superiore al nostro, più creativi, con maggiore cultura. In poche parole, se noi cresciamo da un punto di vista culturale grazie ai rapporti che abbiamo instaurato, facciamo meglio il nostro lavoro e la città nel suo complesso cresce.

Purtroppo, però, ci sono almeno due elementi che caratterizzano la città contemporanea che remano contro la “città sociale”: la dispersione urbana e l’anomia dei luoghi.

Esiste evidenza empirica sufficiente che ci porta a ritenere che laddove la densità abitativa è molto bassa, la probabilità di incontrare persone si riduce e, per quanto riguarda il nostro discorso, le relazioni interpersonali diventano più rarefatte. Città disperse sul territorio manifestano una minore capacità di produrre benessere per i propri residenti a causa di una sostanziale impossibilità a costruire rapporti duraturi. La mente va subito ai villaggi dell’estremo Nord Europa ove per poter trovare moglie è necessario partecipare ai periodici raduni o balli. Ma forse non dobbiamo andare così lontano. La cosiddetta “nebulosa padana” altro non è che un immenso spazio costruito con una densità abitativa molto bassa. Putnam, celebre politologo di Harvard, ha coniato un termine bello e difficilmente traducibile in italiano per questa condizione: bowling alone, ovvero giocare a bowling da soli. Quando non si hanno amici e si vive in una periferia scarsamente popolata è questo il rischio che si corre.

Probabilmente, però, il rischio che più corrono le nostre città riguarda l’anomia dei luoghi. Centri commerciali, immensi supermercati, bar ove si gioca alle slot machine hanno sostituito le nostre piazze. Un tempo, infatti, le piazze ed i corsi delle nostre città e dei nostri paesi erano luoghi ove si incontravano persone, si interagiva. Oggi sono spazi sostanzialmente vuoti. Le famiglie trascorrono interi fine settimana in centri commerciali di periferia dotati di bar, ristoranti, negozi e perfino finte piazzette. E la cosa che personalmente ritengo paradossale è che i comuni italiani si affannano ad attirare sul proprio territorio tali aberrazioni commerciali nella speranza di creare sviluppo!

Come ho scritto in un post precedente, vivo da alcuni anni a Sesto Calende, una cittadina un tempo sede di una vetreria che ha lasciato oggi uno splendido manufatto di archeologia industriale. Nella speranza di riutilizzarlo, l’animo degli amministratori comunali degli ultimi 10 anni (credo) è stato in grado di concepire una sola opzione: piazzarci dentro un’Esselunga! E la cosa irritante è che si credo anche di creare sviluppo e posti di lavoro…Sappiamo ormai da anni, complice l’esperienza Wal-Mart negli USA su cui abbiamo abbondante evidenza empirica, che gli ipermercati distruggono posti di lavoro poiché, sfruttando le economie di scala, eliminano la concorrenza dei piccoli commercianti ed assorbono relativamente meno manodopera (altrimenti, perché li costruirebbero così grandi?). Se a questo aggiungiamo l’anomia del luogo ed il fatto che la strada che attualmente spezza in due il paese (il “Sempione”) sarà ancora più trafficata, il guaio è fatto! Ma queste scelte sono frutto di una mentalità mai sopita e che già Rosi descrisse proprio 50 anni or sono in “Le mani sulla città”.

Agli Italiani, il cemento piace. Fare sviluppo significa foraggiare il settore edile. I moderni driver del benessere (istruzione, servizi, welfare) sono pilastri che lasciamo volentieri ad altri. A noi interessa il breve periodo. Ci piace essere miopi e non pensare ai nostri figli, nemmeno in quello che riteniamo essere il civilissimo Nord.

Ormai comincio a pensare che un’urbanistica che tenga conto anche di questi fattori sia una mera chimera. Le aule universitarie sono dense di questi concetti attuali e fortissimi, ma questi non riescono minimamente a scalfire le errate convinzioni dei nostri policy makers.


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