La società civile #inMovimento può fare di più

di Marco Percoco

Era da tempo che Riccardo Bonacina stimolava il Terzo Settore affinchè questi uscisse dalla bolla di sapone fatta di autoreferenzialità e, questo l’aggiungo io, di presunta superiorità morale che ha accompagnato la sua vita recente.

Purtroppo non ero presente al Teatro dell’Elfo, ma ho letto il manifesto di inMovimento. E’ bello, anzi bellissimo, ma se si vuole essere davvero costruttivi nella discussione bisogna evidenziare ciò che si ritiene manchi o non sia trattato adeguatamente nel documento. E qui vorrei provare a proporre alcuni temi su cui, magari, sarebbe utile confrontarsi.

1. Il Terzo Settore mi sembra ampiamente inconsapevole della numerosità di politiche pubbliche che lo vedono coinvolto direttamente o indirettamente. L’analisi, come la valutazione seria di questi interventi, non può costituire un’attività residuale, anche e soprattutto per indirizzare le politiche future. Si pensi, solo a titolo d’esempio, all’implementazione del principio di sussidiarietà in Lombardia. Una valutazione seria, non ideologica, è necessaria non per osannare o punire i governi regionali, ma per capire meglio come applicare questo principio, magari in altre regioni.

2. Come scritto più volte, il nonprofit, benchè viva quotidianamente il territorio (la città), costituendone un agente socialmente importante, ostenta un intellettuale disprezzo per tutto ciò che è pianificazione e finanche programmazione economica locale. E pensare che uno degli assi portanti della programmi di sviluppo 2014-2020 sarà proprio il sistema di welfare locale. Il Terzo Settore è stato organicamente assente dai tavoli decisionali e di concertazione e non sembra interessato a parteciparvi, anche tardivamente.

3. Si richiamava sopra il sostanziale disinteresse nei confronti di ciò che accade sul territorio, ma vale la pena rimarcare come la mancanza di contributi alla discussione caratterizzi tutti i temi che non siano riconducibili a pochi punti di magico interesse, ovvero al volontariato, al servizio civile, alle donazioni, all’assistenza. Nessuno, invece e ad esempio, conosce le opinioni del settore in merito alla politica fiscale o al Jobs Act, quasi fossero interventi relativi ad una realtà parallela.

4. Anche da un punto di vista politico, l’atteggiamento dell’associazionismo di varia natura (e qui mi si consenta una generalizzazione) è stato quanto mai schizofrenico, alternando momenti di completo disinteresse ad altri in cui si identifica l’intero settore con un soggetto politico. L’Intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà è un’interessante iniziativa, ma francamente limitata. E’ possibile costituire, detto fuori dai denti, una seria “lobby del nonprofit” che agisca soprattutto tenendo sotto controllo le tematiche economiche? So che si tende ad attribuire alla parola “lobby” un connotato negativo, ma operare pragmaticamente in una realtà che funziona in questo modo significa scendere a compromessi con un modus operandi astrattamente accettabile.

Queste poche righe, dunque, per affermare la necessità che il nonprofit si metta davvero #inMovimento, soprattutto su tematiche di interesse generale, che hanno un effetto importante non solo sulla collettività, ma anche sul settore stesso. Si dice che la densità di istituzioni nonprofit su un territorio sia indice di una certa vitalità sociale, di civismo. Qui sto affermando, paradossalmente, che il Terzo Settore si è chiuso in uno splendido isolamento fatto di pochissimo civismo. Detto in altre parole, essere dei bravi volontari non significa essere necessariamente buoni cittadini ed il nonprofit dovrebbe aspirare principalmente alla seconda virtù poichè rinunciare alla distribuzione degli utili attraverso donazioni, volontariato, servizio civile etc. non è un fine, ma uno strumento per raggiungere l’obiettivo del bene comune, una finalità che oggi si è  perso di vista, se non in astratti ed elitari discorsi para-filosofici.


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