Chi gioca d’azzardo diventa povero di relazioni

di Marco Percoco

Gli anni ’50 sono stati un momento importante nella storia del nostro Paese. Hanno segnato l’inizio di un decennio di poderosa crescita industriale, in cui l’attività imprenditoriale è diventata il fulcro dello sviluppo economico, così che la determinazione del benessere dell’individuo si credeva dipendesse esclusivamente dal lavoro.

Negli stessi anni, però, altri due studiosi del comportamento sociale dell’uomo, Ernesto De Martino ed Edward Banfield, si aggiravano per il Mezzogiorno.

De Martino, nella sua ricerca antropologica, ha messo in luce il carattere fatalistico di alcune comunità, attraverso lo studio del ruolo sociale della magia, soprattutto in termini di fenomeni di tarantolismo.

Banfield andò oltre, cercando di capire le conseguenze di una tale attitudine ed intuì che un maggior livello di fatalismo è associato ad un minore spirito cooperativo, volto al bene comune. Ciò perchè in società in cui più si crede che il destino di un uomo sia inscindibilmente legato ad un imprescrutabile fato, l'”investimento” nel prossimo è minore (una forma di capitale sociale). Lo studioso americano ipotizzò anche che comunità caratterizzato da elevato fatalismo e minore capitale sociale fossero anche quelle più povere.

Cosa c’è di più fatalista del gioco d’azzardo? E quale migliore indicatore di altruismo, di senso civico e di capitale sociale, della propensione a svolgere lavoro volontario?

La seguente figura (clicca sull’immagine per ingrandirla) mostra proprio una correlazione negativa per le province italiane tra le due variabili, ad indicare che esiste più di un indizio a favore della tesi di Banfield. Ovvero, al crescere della propensione al gioco d’azzardo (quale proxy del fatalismo), si riduce la propensione al volontariato (quale proxy del capitale sociale).

La domanda ora è: in che misura una riduzione del gioco d’azzardo può aumentare lo spirito altruistico, forzando bonariamente il fatalismo degli individui? Non è una domanda cui è ora possibile rispondere compiutamente, ma è forse qualcosa su cui potrebbe valer la pena fare qualche ulteriore approfondimento ed agire, senza dimenticare che riducendo l’azzardo ed aumentando il capitale sociale, creeremmo sviluppo.

(Ringrazio Marcello Esposito per i dati sul gioco d’azzardo nelle province italiane e Marina Piano per il titolo del post)


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