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Don Milani obiettò

di Marco Percoco

Don Milani è ormai diventato un luogo commune, nell’accezione più neutra possibile dei termini. Tutti (o quasi) riconoscono il suo nome, ma pochi ne conoscono in profondità le azioni, prima ancora del pensiero.

Di certo non faccio eccezione, ma altrettanto certamente non ho apprezzato il “dibattito” apparso sulle pagine del Domenicale del Sole 24 Ore in cui sono messe alla berlina, con argomenti pretestuosi e artefatti per creare clamore, le sue idee circa una scuola (o una pedagogia) democratica e priva di gerarchie. I suoi ideali non si sono realizzati mai completamente, ma il sistema scolastico italiano è oggi un pò più moderno rispetto a quello degli anni Trenta anche grazie alla sua influenza.

Sarebbe ingiusto, però, parlare solo di scuola, sebbene, va detto, è certamente il primo tema che ci balza in mente. Anni addietro rimasi folgorato dalle vicende inerenti l’obiezione di coscienza alla leva militare, idee che lo portarono addirittura nelle aule di tribunale, sino ad essere condannato in primo grado per apologia di reato.

Nel febbraio del 1965, i cappellani militari della Toscana rilasciarono un comunicato che, nel ricordare e celebrare i caduti di tutte le guerre, si spingeva incredibilmente a ritenere “un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza, che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”.

Don Milani cercò di reagire a questa vergognosa palude logica con fermezza e solidi argomenti a confutazione della Patria quale pietra angolare per distinguere il bene dal male, oltre che dell’obbrobrio del richiamare un comandamento per giustificare la violenza, almeno potenziale. Chiudeva il suo documento (poi ripreso da Rinascita) con una splendida e illuminante chiosa: “preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano”.

Anche questa fu una battaglia di civiltà, combattuta da un punto di vista partigiano e non laico, come pure ci ha ricordato Marco Dotti nel richiamare un’intervista rilasciata da Andreotti a Vita, oltre che il recente messaggio del Papa.

Don Milani obiettò, dunque, obiettò contro l’inumanità di alcune pratiche sociali dell’Italia degli anni Sessanta. La sua forza fu la sua sostanziale mitezza d’animo, prima anche che la sua vis polemica. Per le sue obiezioni, quindi, è giusto che oggi il progressismo (ormai residuale) del nostro Paese gli rendano omaggio, come ad un eroe civile.


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