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Attivismo civico & Terzo settore

Un ascensore sociale per claustrofobici

di Paolo Dell'Oca

Sembra che la mobilità sociale basata sulla meritocrazia, signora mia, funzioni poco. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha pubblicato un report da cui è tratta l'infografica sottostante, che mostra il numero di generazioni necessario alle persone appartenenti al 10% più povero per raggiungere la media retributiva nazionale. Se nasci in Danimarca e appartieni alla fascia sociale più bassa sarà tuo figlio che potrà accedere alla media retributiva nazionale (2 generazioni), se nasci in Italia il tuo trisnipote (5 generazioni). Se nasci in Colombia fa prima a sparire la vita umana sulla Terra.

È come se il merito dipenda dalla classe sociale più di quanto la classe sociale non dipenda dal merito, suggerisce Yari Carbonetti.

L’OCSE chiosa: “Societies must improve opportunities for lifelong learning and up-skilling to help ensure no one is left behind”; che significa all’incirca: “Affinché nessuno sia lasciato indietro le società devono incrementare le opportunità di istruzione e di miglioramento continuo delle competenze”.

Peccato che gli investimenti scolastici italiani non vadano esattamente in quella direzione, stando sempre ai report OCSE. Non siamo negli Stati Uniti, dove una possibilità che avremmo sarebbe quella di votare per il socialista Bernie Sanders, il cui programma recita anche “College gratuito per tutti”. In Italia deve ancora arrivare il partito o il movimento che, dopo aver vinto le elezioni, investe in scuole e università.

Tra i molti dati (l'impreparazione degli studenti italiani rispetto alla media europea, il tasso di abbandoni scolastici) me ne colpisce uno: nel 2016 gli stipendi degli insegnanti corrispondevano al 93% del loro valore rispetto al 2005.

In attesa di un Bernie Sanders italiano, chi lavora nell’industria creativa e culturale italiana, spiega Tiziano Bonini, proviene da famiglie ad alto capitale economico, che sono quelle che possono sostenere non solo gli studi, ma anche l’inserimento in un mondo lavorativo in cui si inizia con stage malpagati e contratti che difficilmente garantiscono indipendenza economica.

Chiedo: in Italia è anche il caso del Terzo Settore? Chi vi lavora deve poterselo permettere?

Quante volte conoscendo belle intelligenze mi sono sorpreso a pensare: “Quest* ragazz* è davvero in gamba, un* così dovrebbe lavorare nel Terzo Settore, è sprecat* per lavorare nel profit”. Ma per la persona in questione il passaggio sarebbe stato economicamente insostenibile.

[Aggiungi qua un brillante paragrafo contenente una soluzione sistemica e concreta, che dia speranza e apra le menti. E poi inviamelo, che le belle idee van condivise].

E quindi lavoriamo per questo, perbacco!


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