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Premio Martini? Piuttosto usiamo gli insegnamenti

di Don Antonio Mazzi

Se invece di inventare premi nazionali e internazionali in memoria del Cardinale Martini, decidessimo di testimoniare quanto negli ultimi anni ci ha proposto a chiare lettere? Si portava dentro al cuore preoccupazioni e riflessioni che avevano un peso decisivo per la Chiesa, che lui ha sempre amato. Per lui erano pronti i tempi di un Concilio aperto, meno formale ma più sostanziale degli antecedenti. I problemi della chiesa e del mondo se li sentiva vibrare dentro: il ritorno alla povertà evangelica, un ruolo meno di potere e più di servizio della gerarchia; il profondo disagio del clero rispetto ai grandi temi della catechesi, della pastorale, dell’amore; il disorientamento dei cristiani, e soprattutto dei giovani, invaghiti del denaro, del sesso, del capriccio, del consumo. Pare che anche noi credenti, per quieto vivere, serviamo due padroni. Erano questi i problemi che “turbavano evangelicamente” il nostro Cardinale. Credeva ancora fortemente nella chiesa.  Nel penultimo incontro, fatto con un gruppetto della Fondazione Exodus, qualche settimana prima di morire, ha ribadito, con la poca forza e la pochissima voce che gli rimaneva quanto aveva precedentemente scritto. “Sono dell’avviso che la storia ci mostri come la Chiesa nel suo insieme non sia mai stata così fiorente come è ora. È in tutto il mondo. Con fedeli di tutte le lingue, e le culture. Le tensioni interne ci sono perché dove ci sono uomini, ci sono errori. Ma non scalfiscono la sua compattezza. La chiesa si presenta unita come forse non fu mai nella sua storia”. Già tempo prima, quando parlava dal Duomo della sua Milano, aveva detto: “Siamo una chiesa minoritaria, ma se ci collochiamo bene nella società attuale possiamo essere fortemente lievito, fermento, sale luce”. Un altro pallino (scusate la parola banale) del Cardinale erano i giovani. Ogni volta me lo ricordava. Nell’ultima messa che abbiamo detto insieme, alla preghiera dei fedeli (che ha voluto fare con un filo di voce) ha pregato per i ragazzi e mi ha ringraziato per quanto facevo per loro. Ricordava tutto. Ho tanta paura che ci si accontenti dei dibattiti, delle cattedre, delle piazze intestate a lui. I profeti non hanno bisogno di monumenti. Vanno amati per le lacerazioni dolorose ma benefiche che hanno sempre portato alla chiesa e al mondo. Spero sia così anche per il Cardinale Martini.


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