Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Politica & Istituzioni

Il Piano di pace degli intellettuali che non sanno la storia

di Riccardo Bonacina

In questi giorni, è circolato sulle colonne di Avvenire, Verità e Il Fatto un manifesto di cattolici (non tutti però, Buttafuoco per esempio) che prova a fare mélange tra le varie posizioni dei cattolici, da quelli più a sinistra a quelle “brune” alla Veneziani e Cardini si sono fuse in un Manifesto, intitolato “Un negoziato credibile per fermare la guerra”, a firmarlo da Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani, Stefano Zamagni. Il risultato però è simile a una maionese impazzita sia nella forma che nei contenuti. Ne ho scritto e ne ho discusso con qualcuno tra i firmatari che più stimo. Ma a rileggerlo continuo a non capire come sia stato possibile proporre un pasticcio così. Zamagni, per dire, aveva proposto un Piano di pace in 7 punti (qui) assai più credibile di questo puzzle velleitario.

I punti del manifesto: 1) neutralità di un’Ucraina che entri nell’Ue, ma non nella Nato, secondo l’impegno riconosciuto, anche se solo verbale, degli Usa alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del Muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia; 2) concordato riconoscimento dello status de facto della Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente “donata” da Krusciov alla Repubblica Sovietica Ucraina; 3) autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o in alternativa referendum popolari sotto la supervisione Onu; 4) definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse; 5) simmetrica de-escalation delle sanzioni europee e internazionali e dell’impegno militare russo nella regione; 6) piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina.

Come scrive in un documentato articolo Giovanni Cominelli (qui integrale), si tratta di un manifesto senza verità storica. E spiega.

Che la Russia abbia aggredito l’Ucraina, viene riconosciuto, ma non spiegato alla luce del disegno geopolitico che parte da lontano e che Putin non ha mai nascosto. Quanto alla Crimea, la Storia ci avverte che il 1º dicembre 1991 si svolse il referendum sull’indipendenza dell’Ucraina, richiesto dal Parlamento ucraino per confermare “l'Atto di Indipendenza”, adottato dal Parlamento stesso il 24 agosto 1991. Al referendum votarono 31.891.742 (l'84.18% dei residenti); 28.804.071 (il 90.32%) votarono "Sì". Nella maggioranza degli Oblast le percentuali andarono oltre il 90%, anche in quelle a melting pot a prevalenza russofono; in due o tre “soltanto” sopra il 75/80%. In Crimea – “regalata” da Krusciov alla Repubblica socialista sovietica ucraina il 17 giugno 1954 – la percentuale si fermò al 54,19%. Ma a Sebastopoli salì al 57% e a Odessa salì all’85%. Perché questa differenza della Crimea? Il 18 maggio del 1944 Stalin fece deportare l’intera popolazione tatara, che è la risultante dell’intreccio di molte etnie – circa 200 mila persone – verso l’Uzbekistan, il Kazakistan e altre località. Anche la comunità italiana fu deportata. L’accusa e la punizione: per collaborazionismo con i Tedeschi. Politica che Stalin ha praticato con ferocia anche nelle Repubbliche baltiche. I deportati morirono dal 30% al 46%, a seconda delle fonti statistiche. I sopravvissuti poterono tornare solo dopo il 1989, grazie a Gorbaciov. Intanto, Stalin ripopolò la Crimea di etnia russa. Ecco spiegato il mistero.

Il testo del Manifesto sostiene che la Crimea fu regalata illegalmente all’Ucraina. In base a quale criterio si definisce illegale la donazione, dentro un sistema dove non c’era nessuna legalità nei rapporti tra le Repubbliche? Se le linee di confine tra gli Stati sono definite da quelle etniche, la Crimea non è mai stata russa. Se sono definite dai Trattati e dai riconoscimenti internazionali – cioè dal Diritto internazionale – allora la Crimea è stata russa solo dal 1921 fino al 1991, quando se n’è andata insieme all’Ucraina. Le uniche linee di confine che contano tra gli Stati sono quelle stabilite dai Trattati. Così il 5 dicembre del 1994 venne firmato – non solo detto a voce, come sostiene per ignoranza o malafede il Manifesto succitato – il Memorandum di Budapest, in cui la Russia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna – successivamente vi si aggiunsero anche Cina e Francia – garantivano sicurezza, indipendenza e integrità territoriale dell’Ucraina, in cambio della sua rinuncia alle armi nucleari: ne aveva 1800! Nel 1997, a Parigi, la Russia e la Nato firmano l’Atto fondativo, in cui Mosca accetta l’espansione della Nato a Est, in cambio di una rinuncia della Nato a dispiegare “forze da combattimento significative” e a schierare armi nucleari nell’Europa orientale.

Il testo del Manifesto dimentica poi di dire che Putin ha annesso illegalmente, lui sì!, la Crimea nel 2015 ed ha scatenato la guerriglia civile nel Donbass.

Anche nel resto delle proposte c’è un misto di fumosità, approssimazione e imprecisione. Su Il Foglio, Luciano Capone ad esempio scrive (qui integrale): «si parla di “autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i trattati di Minsk, con reali garanzia europee” e subito dopo di “definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass”. Ma di quali altri territori del Donbas si parla, se il Donbas sono Luhansk e Donetsk? Se il riferimento è ai territori ora occupati dai russi di Kherson e Zaporizhzhia, al limite fanno parte della regione storica della Novorossiya, che però includeva anche Odessa e Mykolaiv. Di quali territori e “melting-pot russo-ucraino” si parla? E come si fa a proporre l’istituzione di un “ente-paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel reciproco interesse”? Quei territori restano sotto la teorica sovranità dell’Ucraina ma le loro risorse naturali devono essere gestite paritariamente dalla Russia?

Alla fine della fiera la soluzione di pace è questa: la Russia porta a casa la legittimazione dell’annessione illegale della Crimea; il controllo delle risorse minerarie ucraine; il ritiro delle sanzioni europee e internazionali. L’Ucraina invece ottiene il ritiro dei russi da una parte dei territori occupati e un “piano internazionale per la ricostruzione”, cosa che è già prevista dai paesi occidentali, senza però specificare se alla Russia spetti pagare qualche risarcimento per i danni e crimini di guerra commessi.

Ma chi lo spiega agli ucraini? Di credibile il Piano di pace degli intellettuali italiani, a me pare, c'è solo il livello della loro presunzione.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA