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La prossimità non è mai abbastanza

di Maria Laura Conte

Sembra che questa sarà l’estate delle vacanze e dei viaggi di prossimità, dopo una primavera in quarantena segnata dalla riscoperta del commercio di prossimità, con noi chini a valutare l’opportunità dei dispositivi di rilevamento di prossimità, in attesa del rilancio della medicina di prossimità. Così, giusto per sentirci al sicuro.

Usata come parola-specificazione, prossimità esce rinvigorita dalle varie declinazioni ed è oggi molto di tendenza, nonostante il paradosso: proprio quando il distanziamento sociale si staglia come la più efficace tra tutte le misure di prevenzione – ed è forse l’unico punto di accordo dei virologi globali – ottima per evitare persone pestifere, ecco che la prossimità torna a risplendere di luce propria.

Perché è parola a doppio taglio, proprio in virtù di quel paradosso: riesce a significare al tempo stesso il pericolo (stare vicini favorisce il salto del virus), ma anche la via di uscita, la soluzione rispetto alle costrizioni imposte dal Covid. Non si può viaggiare in aereo verso mete esotiche? Riscopriamo le località vicine a casa. Non si contano più i reportage sulle bellezze del nostro Paese che si possono raggiungere in bici+treno, come suggeriscono i tour operator del turismo della mobilité douce, come Le Monde chiama la mobilità agile in opposizione ai viaggi inquinanti della speranza.

Ci sconsigliano di entrare nel grande centro commerciale all’altro capo della città, affollato, chiuso, rischioso? Ecco che ci guadagnano il piccolo fruttivendolo e il panettiere sotto casa. E si va imponendo l’idea di “città dei 15 minuti” che si cominciò a immaginare negli anni ’20 del Novecento (la neighborhood unit) e che ha il suo asse portante nella prossimità: punta a valorizzare la creazione di comunità, a salvaguardare la sostenibilità ambientale e sociale di quartieri e aree delle metropoli, e a garantire ai suoi abitanti la possibilità di accedere a servizi, lavoro, divertimento in quindici minuti, a piedi o in bicicletta. L’intento è quello di rilanciare, attualizzandole, le dinamiche del borgo, di tutelare il patrimonio identitario, contro il rischio della deriva delle periferie nell’anonimato, nel dormitorio.

Ma se una parola è così potente, è perché si apre a molte dimensioni. Il gioco della ricerca etimologica aiuta a “inventarle”, cioè scoprirle. Prossimità in latino è proximitas, che porta in sé il grado superlativo di proximus, da proprior, vicino: indica non semplice vicinanza, ma di più, molta moltissima vicinanza, vicinanza al massimo grado, in senso logistico, ma non solo. Ovidio usa proximitas per indicare la somiglianza.

Provando a spingerci ancora più dentro questa parola, si incontrano persone, sue ospiti. Non la si potrebbe quasi pensare senza la componente umana: sono i prossimi, appunto, che hanno sempre suscitato curiosità. “E chi è il mio prossimo?” è una domanda che ha attraversato due millenni di cristianesimo senza invecchiare di un giorno nella sua carica provocatoria.

Per Cicerone erano le persone più care, i parenti più stretti, gli amici più intimi. Ancora superlativi. Lo conferma il vocabolario di latino, ma lo suggerisce anche il pensiero di Levinas. La prossimità ha pelle e volto umani, scriveva, ed è impossibile senza contatto, che a sua volta è tenerezza e coinvolgimento.

La prossimità ha pelle e volto umani

Emmanuel Levinas

Non ci è possibile stabilire prossimità con le cose senza la mediazione di un contatto umano. Il motivo è semplice: le cose non hanno un volto. Se ci appassioniamo a ciò che ci circonda, a un luogo, a un oggetto, se chiediamo quella prossimità che ci restituisca sicurezza, è in forza della relazione con qualcuno.

Mai abbastanza, la prossimità dimentica il dovere della reciprocità, come in un amore che non pretende simmetria. Il suo fascino risiede in questo, nel fatto che in essa si esprime l’altro da noi nella sua assoluta singolarità.

Per questa via prossimità si apre a senso di responsabilità, a com-passione. La stessa via che percorreva un antico samaritano che, incrociato uno sconosciuto ferito da dei briganti, se lo carica sulle spalle.

Non è uno stato di quiete, anzi, al contrario, è dinamismo inquieto, che attrae nei giorni delle incertezze.


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