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La paura e il cavaliere errante

di Maria Laura Conte

Biopaura da contagio e paura di precipitare economicamente: secondo un recente rapporto del Censis queste due forme di paura stanno attanagliando gli italiani. Entrati incerti nella fase di emergenza Covid, ne stiamo uscendo impauriti. Nel report figuriamo come un popolo divenuto più cauto, poco propenso a spendere quanto invece a risparmiare, disinteressato a consumare. Soprattutto proteso verso un “rinserramento poco razionale, foriero di infelicità”. Un rinserramento mesto che evoca il rumore delle serrature dei portoni chiusi, il ritrarci dalle relazioni con la speranza che la polizia multi gli anarchici. La paura, scrive il Censis, ci sta inibendo, trasformandoci in esseri stagnanti.

È una parola a grappolo, paura. Si accompagna ad ansia, angoscia, vulnerabilità, fuga.

In latino è pavor, dalla radice indoeuropea di percuotere: ci spaventa ciò che arriva all’improvviso a colpirci, scuoterci. In greco è déos e fòbos. Déos condivide la radice di due, il numero degli opposti. L’aggettivo corrispondente infatti è ambiguo: significa terribile, cattivo, come i nemici nell’Iliade, ma anche potente, straordinario, come una divinità o un amore. È usato per indicare una dimensione intima, forse consapevole dei rischi che si corrono. Fòbos, invece è la paura irrazionale, il terrore, la spinta a scappare. Omero usa questa parola per dire fuga.

Dunque è denso l’universo della paura, altrettanto il suo impatto: atterra, divide, rallenta, blocca o mette in fuga. Avrebbe un risvolto positivo, se aiutasse a mettersi in salvo, senza indurre a rinchiudersi e basta.

Eppure questo sembra l’effetto principale oggi della paura, destino condiviso da tutti perché il virus non distingue i redditi né il colore della pelle. È misurata dai sociologi, calcolata nel suo impatto sull’economia e sull’ambiente, redarguita non solo dal Censis in Italia, ma anche oltre frontiera.

Pochi giorni fa il New York Times dedicava spazio a una lista di consigli dettagliati (genere giornalistico molto in voga al momento) sulle frasi più esatte che potremmo usare con chi ci confessa di essere spaventato dalla pandemia.

Intanto si spinge avanti, sempre più avanti, la ricerca di rimedi. Ma le soluzioni non stanno solo avanti, ci sono indizi utili anche indietro, nel tempo. Come in Orazio, il latino geniale che scriveva che chi teme e chi desidera hanno in comune un sentimento: la paura, una paura molesta. In una riga il poeta riesce ad accostare paura e desiderio.

Solo che quest’ultimo ha una forza in più, una capacità liberante. Sa strappare dalla stagnazione perché rimette in movimento, spinge a cercare qualcosa di meglio per noi, sempre di meglio. Che non sazia mai.

Chi teme disgrazie da questi beni e chi al contrario li desidera, prova lo stesso turbamento in cuore, una paura molesta.

Orazio

Come accade a Don Chisciotte: il desiderio di imitare le gesta di un cavaliere glorioso del passato, le cui imprese lo avevano conquistato, gli cambia la vita, lo trasforma in un audace.

È difficile da tenere a bada il desiderio di fare propria la felicità che si manifesta in un altro, quella pienezza di vita che Don Chisciotte riconosce in Amadigi. Anzi, provare a imitarne le gesta, pur lontane nel tempo, gli permette di governare ogni paura.

Cervantes lo scolpisce come un eroe attratto dall’ideale e dalla generosità cavalleresca, che combatte con i mulini a vento e vede cose che gli altri non vedono. Tra ironia e dramma, lo lascia agire come un matto. Ma questa follia lo aiuta a smascherare tante miserie del reale, e a mettersi in gioco senza reticenze.

Direttamente dalla Spagna del 1600 quel Don Chisciotte si affaccia, con tutte le contraddizioni del suo desiderio mimetico, al nostro 2020. Un cavaliere da imitare, se non altro per il suo impavido varcare soglie.


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