Media, Arte, Cultura

Ci siamo “bruciati” un altro anno?

di Maria Laura Conte

“Ci siamo fumati già un altro anno”: sfuggono queste parole, mentre si staccano gli ultimi giorni del calendario. Tradiscono sconforto (con tutto quello che speravo di fare e invece…), mescolato a una punta di sorpresa (ma com'è possibile che sia già passato un anno?), ma anche di abbandono all’inesorabilità del tempo. È lui, il tempo, a condurre il nostro gioco e disturba non poco scoprirsi in sua balia. Mentre noi bruciamo settimane, mesi, anni …


E quell’accostare il verbo fumare o bruciare al tempo (il nostro di tempo, cioè la nostra vita) visualizza l’immagine della cenere. Come se i nostri giorni fossero sigarette che si accorciano ad ogni respiro, lasciando solo residui inerti. E non è propriamente così.

Da che cosa dipende questa percezione? Sicuramente dalla costante tentazione di misurare il tempo in base a un criterio di quantità: quantità delle performance eseguite, delle cose fatte, dei risultati ottenuti, delle medaglie vinte.

Più ne contiamo – è l’illusione – più il tempo si solidifica, frena e prende valore.

Invece no. In un attimo, ci rendiamo conto che tutte queste cose passano, passano in fretta. Si consumano insieme a noi.

Se si provasse allora a cambiare criterio, a valutare il tempo vissuto in base a dei “chi”, a delle persone in carne e ossa? Se lo guardassimo attraverso le persone con cui lo si trascorre, alle quali lo si dedica, per le quali lo si impegna, questo cambierebbe la nostra esclamazione davanti allo sfoglio del calendario?

Riusciremmo a contrastare la sensazione che il tempo ci sfugga?

Se no, potremmo scivolare nella tentazione di voler imparare a produrne noi, di tempo. E non per niente Kapuściński rimase affascinato dalla differenza che volle vedere tra il modo occidentale di considerare il tempo e quello degli africani: per loro il tempo non è esterno né tirannico, ma “creato” dagli uomini con le loro azioni ed eventi, dipende da loro, non viceversa. Saremmo noi il fattore creatore. Noi umani, il nostro sguardo, la nostra attività e operosità.

Ma qui non siamo in Africa, siamo mani e piedi legati ad agende che ci ricordano quanto siamo immersi in un flusso inarrestabile, e che quello che possiamo cambiare è solo il nostro modo di starci dentro. Perciò dovremmo farci la pace, incominciando ad amarlo.

Amare il tempo?

Sì, come si fa con le persone: si vorrebbero trattenere, possedere, forgiare come le immaginiamo noi, mentre – proprio quando e perché le si ama – occorre accoglierle e lasciarle andare.

Nell’amore, come alternarsi di possesso e distacco, alla fine non si perde (brucia) mai nulla.

Bellezza era la verità, ora. La bellezza era ovunque

Virginia Woolf

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