Qualcosa di vero
27 Febbraio Feb 2022 1646 27 febbraio 2022La storia del signor Baratto è perfetta. Assurda, surreale, anche se dopo i due anni che abbiamo vissuto, e la nuova guerra in corso in queste ore, che cosa si può ancora qualificare così? Tutto è diventato realistico.
Ebbene Baratto è figlio della creatività di Gianni Celati: è un signore giovane che, dopo l’ennesima sconfitta a rugby, ai suoi compagni di squadra grida che “non c’è niente da discutere” e se ne va, rispondendo a chi lo chiama che non ha più voglia di parlare. E non per modo di dire: comincia a tacere per settimane, mesi. Non dice più nulla, non una sillaba agli amici, né a scuola dove è professore di ginnastica, né alla moglie, ai vicini, al cassiere del supermercato. Zero. Muto. Ma continua a vivere.
Come appartenendo a un’altra dimensione, rispetta le sue abitudini, la corsa quotidiana, i riti domestici, le visite ai dirimpettai soli, gratificati dalla sua disponibilità a cenare da loro. Soprattutto dal suo mettersi lì, tranquillo, senza fretta, ad ascoltarli. Tacendo Baratto diventa un collettore di persone sole e alquanto sconfortate, inconsapevoli di avere bisogno di raccontare a qualcuno la propria vita finché non cominciano a farlo con lui. Parlare a quel giovane silente diviene una terapia che rasserena. Sembra un controsenso, ma lui sa fare compagnia da muto.
Le frasi vengono e poi vanno, e fanno venire pensieri che poi vanno.
Parlare e parlare, pensare e pensare, poi non resta niente.
La testa non è niente, succede tutto all'aperto
Perfino il preside di Baratto resta spiazzato, non capisce come gestire questo insegnante che non proferisce verbo, né agli allievi, né ai colleghi. Prima prova a metterlo alle strette. Poi osservandolo a distanza arriva a sospettare che la sua non sia una disgrazia ma il contrario, una “grazia”. Che parola antica sceglie Celati per descrivere questo silenzio: non è vuoto, ma un pieno.
Anche visto così, non è che l’enigma di Baratto si risolva, resta scomodo. Eppure molte persone continuano a cercarlo, non si stancano della sua stranezza, a parte la moglie in realtà, si sentono comprese (abbracciate?) da lui. E in effetti lui le capisce, le sa proprio ascoltare.
Lo stesso Baratto si rende conto che, mentre tiene a freno la lingua, non ha smesso di pensare, anzi. Solo si è “spostato”: ha iniziato a pensare i pensieri degli altri. Ride quando capisce che è atteso il suo sorriso, si sorprende, si avvicina o allontana quando coglie le attese altrui. E guarisce. Come in un giorno qualunque ha smesso, così all’improvviso ricomincia a parlare.
Saper ascoltare è il primo passo verso la saggezza... pic.twitter.com/B4G7mhN5KM
— Nico R. ⚠⬜⬛⚠ (@pistoligno_gol) February 20, 2022
Lo strano Baratto e i suoi vicini di casa sono protagonisti di una trama semplice che lascia intravedere un altro potere paradossale delle parole: il potere di nascondere. Di occultare fatti, camuffare bisogni, inondare spazi liberi per evitare che emerga altro, qualcosa che potremmo temere o trovare scomodo, come - appunto - i pensieri degli altri.
Un giorno qualcuno ci chiederà conto delle parole inutili che abbiamo usato solo per dire che esistiamo, per avvisare che sì, attenzione, siamo qui, tocca a noi farci sentire! Quanti sostantivi, verbi, opinioni abbiamo incastrato in architetture complesse che più che avere a che fare con noi, rispondono all’obbligo di dire qualcosa agli altri? O di creare muri che ci separano dalla realtà degli altri, e anche nostra?
Ci si potrebbe esercitare a smettere di buttarle via così. Non si tratta solo di spreco di parole, tanto – oserebbe scusarsi qualcuno – non costano nulla. Il punto è che rischiamo di annegarci dentro qualcosa di interessante e di buono. Qualcosa di vero per noi e per chi sta con noi.